Intervista a C.V. Chandrashekar
Di Ashima – Patrizia Saterini
Chendrashekar, 75 anni, è considerato uno dei più famosi danzatori di Bharatanatyam. All’età di 10 anni fu mandato dal padre da Delhi fino a Madras, nella prestigiosa scuola Kalakshetra per imparare l’arte del canto. Rukmini Devi, la mitica fondatrice della scuola, notando il talento del bambino per il movimento, mandò una lettera al padre chiedendo il permesso di fargli studiare la danza. Con il consenso arrivò la svolta nella vita del giovane allievo: in pochi anni, sotto l’esperta guida di Rukmini Devi, tutto il suo potenziale venne sviluppato facendone una vera icona della danza classica indiana. Vive ed insegna a Chennai (Madras).
Dicembre 2009
Mi riceve con gioia nella sua casa di Chennai. Anni fa ho seguito alcuni dei suoi seminari ed ho imparato da lui alcune coreografie. Adesso ha 75 anni: domani sera si esibirà in uno spettacolo da solo, accompagnato da un gruppo di musicisti, in un programma di due ore, presso una delle sale più prestigiose della città. 75 anni! Decido che non posso perdermi lo spettacolo per niente al mondo: mi servirà anche per tutte le volte che mi lamento di me stessa…
Lo osservo mentre chiede alla moglie di preparaci due tazze di tè. C’è la danza in ogni suo movimento. Il modo nel quale volta il capo verso la cucina, come si china verso di me porgendomi la tazza, come illumina gli occhi guardando in un punto lontano mentre mi racconta della sua giovinezza, di come il padre lo ma mandato da solo, a 10 anni, dal nord fin qui per studiare canto e danza. Durante tutta l’intervista per me è stato come vedere uno spettacolo di danza. Tutto in lui si muove con armonia. Ogni parola viene pronunciata non solo con la voce, ma con tutto il corpo.
D: C’è sempre più interesse da parte di occidentali verso la musica e la danza indiana. A Vicenza il Conservatorio di Musica ha aperto un dipartimento di musica a e danza indiana e questo è un fatto incredibile per un’istituzione notoriamente “conservatrice”…
R: Sono passati almeno 50 anni da quando artisti come Ravi Shankar e Ram Gopal* (nota: Ram Gopal è stato una grande stella della danza indiana, un vero mito sia in India che nel resto del mondo. Ricordo come si siedeva a guardare le lezioni: gli occhi attenti ad ogni cosa, ad ogni movimento. Con un grande turbante in testa, gli occhi brillanti, indicava con un bastone questa o quella ballerina per fare delle correzioni. Ricordo ancora con orgoglio un suo apprezzamento sul mio modo di eseguire il tei-hat-tei-hi…) hanno reso popolare in occidente la musica e la danza indiana. Questo ha fatto si che cominciarono ad arrivare qui studenti occidentali che volevano imparare ed approfondire. Qualcuno voleva solo averne una esperienza, altri invece arrivavano determinati a diventare dei professionisti. Come ad esempio John Higgins* (John Higgins, Nato nel 1939 nel Massachusetts, dal 1971 al 1978 professore di musica alla fine Arts at York University – Toronto. Uno dei pochi musicisti occidentali a diventare un vero esperto in canto carnatico. Diede concerti in molteplici luoghi in India accompagnato da alcuni tra i migliori musicisti dell’epoca.) che venne per imparare la musica carnatica e divenne un concertista. Gradualmente il numero degli occidentali che vogliono imparare sta aumentando e in Europa e America ci sono sempre più frequentemente corsi regolari. Grazie anche a grandi artisti che sono andati in occidente come “ambasciatori” della nostra cultura, questa è diventata più avvicinabile, meno idealmente lontana. Le persone sono rimaste impressionate e hanno cominciato ad avere il desiderio di sperimentarla personalmente. Quindi molti insegnanti sono stati invitati a tenere seminari e workshop. E molti studenti occidentali hanno cominciato a venire qui. Se io volessi imparare il balletto classico occidentale professionalmente, andrei a Mosca, o a Parigi, o nei luoghi dove ci sono le grandi compagnie. Così questo è il luogo del Bharat Natyam e della musica carnatica. Comunque questo ha provocato anche un arricchimento reciproco. Ci sono molti danzatori di contemporanea che hanno imparato la danza indiana per inserirne delle movenze nei loro spettacoli. D’altra parte, ci sono ottimi danzatori indiani che si sono avvicinati alla danza contemporanea per aggiungere dei movimenti nei loro spettacoli.
D: Non è che con questo la tradizione venga in qualche modo “contaminata” e si rischia di perderne la “purezza”?
R: A volte me lo chiedo anche io. Non ne sono sicuro. C’è molta competizione nell’arte e quindi la ricerca di emergere, la voglia di stupire lo spettatore, fa andare fuori strada. Io danzo oramai da 65 anni. Domani ho uno spettacolo… Sono felice di danzare, sono felice che il mio corpo sia in grado di farmi danzare, che sia in un buono stato, in salute. Quando ero giovane a volte mi domandavo: “Ma perché mi impegno così tanto, tutta la mia energia è nella danza, magari senza avere la possibilità di tenere molti spettacoli”. Ebbene, è la passione, la pura passione che fa continuare a studiare, esercitarsi, sforzarsi. Se c’è la passione puoi continuare fino a che il tuo corpo te lo permette. Io continuo a praticare. Questa mattina ho praticato per 3 ore ed ho 75 anni. Amo danzare, la danza è il mio respiro, il mio cibo, la mia vita. E’ tutto per me. Se un giorno morirò danzando, beh, ne sarei molto felice! Quindi è la passione la chiave di tutto.
Vedo alcuni studenti occidentali che hanno questa passione. Sono stanchi, frustrati, per loro è tutto più difficile, ma continuano ed hanno successo grazie alla passione. La sensazione è che il vero motivo sia che manca loro qualche cosa. Magari avrebbero una vita confortevole in occidente eppure, vedo che sono alla ricerca di una cosa che a loro manca. Qui la vita ha un’altra qualità, c’è una forma di pace, di semplicità. Ci si siede a terra, si mangia con le mani, si vive in modo semplice, non formale. Questo fa parte anche della nostra arte. Se vai in Kerala, troverai grande artisti magari vestiti con un semplice drappo di stoffa. Nei veri grandi artisti indiani c’è la semplicità, non c’è la presunzione, l’ego della star. Questa semplicità nell’arte tocca il cuore di molti occidentali. Questo è un patrimonio di questo Paese. E’ stato nutrito da grandi esseri con la loro saggezza. L’India ha una tale ricchezza nell’arte!
D: Secondo te, cosa vogliono realizzare gli studenti occidentali? Qui la tradizione è quella di imparare fin da bambini. La maggior parte degli occidentali iniziano da adulti…
R: Qualcuno riesce ad avere un’esperienza artistica che porta dei frutti. Alcuni utilizzano quello che hanno imparato nel loro linguaggio artistico, altri diventano dei professionisti, perché no? Posso sicuramente dire che una cosa: gli studenti occidentali lavorano sodo! Ad esempio, ho alcuni studenti giapponesi i quali lavorano con grande intensità. In Giappone non si usa mostrare esternamente le proprie emozioni. Nella danza indiana l’abhinaya (l’espressività) è fondamentale. Tecnicamente si possono eseguire molti passi di danza, ma la parte espressiva richiede un sacco di lavoro. Perché? Perché per poter esprimere alcuni sentimenti, non basta avvicinarsi all’idea dell’emozione. L’emozione deve essere vissuta all’interno. E’ un linguaggio. Ma la gioia e la passione del vivere l’emozione completamente è così appagante. Con gli italiani è più semplice: siete un popolo espressivo. Ma con i giapponesi è difficile: tendono a ritenere le emozioni. Se chiedo di mostrare la timidezza, non può avvenire se non la sperimenti con tutto il corpo, all’interno!
D: Come insegnante, hai dovuto modificare il tuo metodo di insegnamento con gli occidentali, rispetto agli allievi indiani?
R: La struttura di base del corpo è molto importante. E’ molto più facile insegnare la danza ad un italiano o a un francese piuttosto che a una persona russa: i loro corpi sono lunghi, hanno una struttura particolare. Anche solo osservando come si muovono e si siedono capisco se sono russi, italiani o cos’altro. Non è la stessa cosa. La vera difficoltà è comunque nell’abhinaya, nell’espressività. Ci sono alcune persone che riescono veramente ad entrare nell’espressività. Ho avuto molti bravi studenti occidentali. Questo mi ha permesso anche di rivedere le mie conoscenze dell’anatomia, della psicologia. Ho imparato a parlare alle persone nel linguaggio che è per loro comprensibile. Non solo il linguaggio corporeo ma anche il linguaggio verbale vero e proprio. Ho imparato le parole base della danza in molte lingue diverse. Ad esempio, ho una studentessa russa. Dopo aver ripetuto in continuazione “giù, in aramandi (posizione con le ginocchia piegate verso l’esterno, una delle posizioni base della danza indiana bharat natyam), giù, in aramandi, scendi, siediti, quando le ho detto “sadish” (in russo), qualche cosa in lei risponde più efficacemente.
Il contatto con gli occidentali mi ha decisamente arricchito come insegnante.
D: Il tuo rapporto con il Kalakshetra?
R: Sono molto orgoglioso di essere un Kalashetran. Non c’è nessuna istituzione che riesce a formare così completamente degli artisti. Il ballerino riceve una istruzione totale: viene insegnato il canto, l’estetica, l’arte drammatica, la cultura.
D: Cosa consigli ad una danzatrice (o un danzatore)?
Quando vedo degli spettacoli, spesso vedo il ballerino, non la danza. Mi comprendi? Se Patrizia sta danzando ed è Patrizia che io vedo, dov’è che veramente posso vedere la danza di Patrizia? Quando lei si dimentica di sé. Allora vedo la danza. Molti danzatori mentre si muovono io vedo un costante “io”, “io”, “io”. E’ l’ego che si muove. Anche se i movimenti sono giusti, non è per me interessante.
D: Vuoi dire che è dalla “vuotità” del danzatore che emerge la danza?
R: Si. Sono arrivato alla conclusione che quello che mi attrae è vedere la danza, non il danzatore. E questa avviene solo quando lui scompare.
D: Anche nella musica si dice che solo dal silenzio emerge il suono, solo dalla “vuotità” di suoni può emergere la musica.
R: Si, ad esempio se devo esprimere Shiva, tu che sei uno spettatore non devi vedere Chandrashekar ma solo Shiva. Se sono capace di veicolare questo a te, se sei una persona sensibile, se ti rendo in grado di percepire Shiva, ho compiuto il mio lavoro. In questo senso quest’arte è per un’elite di persone, non nel senso di un’elite economica o altro, ma per coloro che vogliono vedere al di là del danzatore.
Ad esempio, se io eseguo un semplice gesto come questo (a questo punto solleva il braccio e esegue il mudra “alapadma” guardando fisso verso un punto lontano – resta in questa posizione a lungo, in silenzio, senza mai battere le ciglia, con lo sguardo intenso e brillante come se avesse scorto qualche cosa di meraviglioso in lontananza e fosse completamente catturato da ciò che ha visto) … non batto nemmeno le ciglia ma c’è così tanta danza in questo movimento. Bastano anche solo gli occhi per danzare ma ci vuole una grande focalizzazione, concentrazione. E’ una forma di spiritualità. Nota bene, non parlo di religiosità, parlo di spiritualità.
Quando vedo un artista, non mi interessa vedere lui, ma quello che lui mi permetterà di vedere al di là di lui stesso.
Questo Paese è stato benedetto da una meravigliosa e forte tradizione che attrae persone da tutto il mondo. Ho vissuto a Benares per molti anni e so che cos’è la fede.
Un musicista, fino a che non riesce veramente a cantare con il corpo, non può veramente cantare. E’ il movimento all’interno, il movimento con il quale accarezza la nota, che permette di far uscire il vero canto. E’ come per la pittura: è quello che senti dentro mentre dipingi che colpirà l’osservatore. E’ perché sai che cosa sono le lacrime che puoi efficacemente dipingere le lacrime.
La sera successiva vado a vedere lo spettacolo di Chandrashekar. Il palco è enorme, lui è da solo al centro. Dietro di lui solo un grande telo nero. Di lato, vicino alle quinte, sono seduti 4 musicisti: cantante, violinista, suonatore di mridangam e suonatore di tampura. Comincia a danzare e subito rimango affascinata dalla perfezione delle linee delle forme. Ogni movimento è perfetto. Tutto è esattamente dove deve essere, non un millimetro più in qua o in là. Gli occhi, brillanti, portano lo spettatore dove lui vuole. Ora è colui che descrive la storia, adesso è Krishna con il suo flauito in mano, adesso è Radha che lo chiama, poi ritorna ad essere il personaggio narrante. Ogni ruolo è evidente anche per chi non conoscesse nulla della danza e passa dall’uno all’altro in un baleno. Mentre avviene, tutto in lui cambia, il portamento, l’espressione, ora è un uomo, ora è una donna, ora è una divinità. Una padronanza che viene da un’esperienza infinita. Non c’è risparmio nel movimento. Anche i passi più complicati, i balzi, le torsioni, i ritmi dei battiti dei piedi, vengono eseguiti con un’armonia e una precisione disarmanti. Ha 75 anni….. .
(Patrizia Saterini – Musica Indiana)