Perché soffriamo per amore? In realtà, non è l’amore a farci soffrire. Ci sono così tante espressioni umane che si celano dietro la parola “amore” che finiamo per non essere più capaci di gestirlo e gli attribuiamo dei torti che non può generare. Ad esempio, una persona può credere di amare qualcuno, ma invece di esprimere amore esprime piuttosto:

  • il bisogno di controllare;
  • il bisogno di essere rassicurato dalla presenza dell’altro;
  • il bisogno di possedere le persone (i miei figli, mio marito, mia moglie, i miei amici);
  • il bisogno di essere occupato, distratto dall’altro;
  • il bisogno di avere ragione;
  • il bisogno di potere;
  • il bisogno di aiutare.

Tra queste forme “distorte” c’è la dipendenza affettiva, in cui l’oggetto della dipendenza è una relazione.

La dipendenza affettiva può assumere varie forme e manifestarsi in svariati tipi di relazione: parentale, amorosa o sessuale. La ritroviamo persino nei rapporti d’amicizia, al lavoro o nell’ambito di una terapia.

La caratterizza la subordinazione dell’uno nei confronti dell’altro. Si tratta quindi di rapporti malsani. Quando il bisogno d’amore è eccessivo, compulsivo e insaziabile, trascina la persona in un circolo vizioso che l’allontana da se stessa, senza per questo avvicinarla a un concreto e sano rapporto egualitario.

Le conseguenze della dipendenza affettiva sono una minor autostima e fiducia in se stessi o persino la solitudine e il rifiuto. Il dipendente affettivo vuole essere amato a ogni costo, senza sapere cosa significhi amare se stessi. Tenta di essere amato da qualcun altro. Sogna un amore che colmi l’immenso vuoto che lo pervade, anche se, in fondo, non crede di meritare di essere amato per quello che è.
Attenzione però: se fa soffrire non è amore.

Chi racconta bugie, chi ci vorrebbe diversi da come siamo, chi ci tiene sulle spine, dà buca agli appuntamenti, telefona poco, chi in sostanza fa più piangere che ridere, più infuriare che gioire è un soggetto che è meglio evitare di prendere in considerazione. Poco importa se si comporta così perché ha avuto un’infanzia infelice. Risolvere le questioni insolute della sua vita non è compito nostro. Sofferenza non è sinonimo d’amore.

Le persone sono un misto di qualità e difetti, hanno storie alle spalle che hanno fatto di loro ciò che sono, ma una cosa è certa: quando una persona è innamorata, vuole vedere il partner felice ed è contento di comportarsi in modo da farlo sentire bene.

E allora, come fare?

Un aiuto per superare questa tendenza al rapporto malsano può venire dal porsi all’ascolto delle proprie emozioni. Essere all’ascolto di sé per il dipendente affettivo, che spesso si sente confuso sul piano emotivo, è qualcosa da imparare. Quando le emozioni si manifestano in blocco e il dolore che le accompagna è forte, la paura fa in modo che tutto venga represso. Può succede che una situazione vissuta faccia talmente male che non si sa da quale parte iniziale per districare questo groviglio di emozioni e di pensieri.

Anni trascorsi a evitare le nostre emozioni però ci allontanano dai nostri bisogni, da ciò che siamo. Più prendiamo in considerazione i nostri sentimenti, più la comunicazione con noi stessi diventa buona, cosa che esercita ripercussioni favorevoli sul nostro modo di comunicare con chi ci sta vicino.

Benché ipersensibile ai bisogni e alle aspettative altrui, il dipendente affettivo non eccelle quando si tratta di comunicazione. Dato che dubita di se stesso, ha paura ad aprirsi e a esternarsi. Più invece impara conoscersi e a stimarsi, più va dritto al punto. Si creano così conversazioni più chiare con gli altri. La comunicazione è sempre meno inquinata dal filtro della dipendenza. Le persone riescono quindi a esprimersi in maniera autentica e ad ascoltarsi alla pari.

Prestandosi più attenzione, il dipendente affettivo sviluppa una migliore qualità d’ascolto e questo risana il suo rapporto, perché la comunicazione rappresenta il cemento di una relazione.

 

Per approfondire:

 

 

 

 

 

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