Molti Trofei, uno degli ultimi grandi capi dei Crow, crebbe affrontando forse i tempi più difficili nella storia del suo popolo. Le varie nazioni indiane, confinate in territori sempre più ristretti, erano costrette a competere tra loro sempre più spesso per la terra e il cibo, e gli scontri intertribali erano al culmine. Egli riuscì a guidare il suo popolo durante il difficile periodo dell’adattamento alla vita nelle riserve anche dando l’esempio con la propria vita ed esercitando la sua influenza di leader e uomo politico. Quando morì, nel 1932, all’età di 84 anni, era considerato dal suo popolo l’ultimo dei grandi capi: come disse al suo biografo, egli aveva considerato tutti i Crow come i suoi figli.
“Cercammo di adattarci a essere amici… ma questo fu difficile, perché l’uomo bianco troppo spesso promette una cosa e poi, al momento di agire, ne fa un’altra. Gridano a gran voce che le loro leggi sono uguali per tutti, ma abbiamo imparato molto presto che, nonostante essi si aspettino che noi le rispettiamo, loro non pensano ad altro che a infrangerle… sappiamo che con tutti i suoi meravigliosi poteri l’uomo bianco… è abile, ma non astuto e inganna solo se stesso… Niente di ciò che ci ha dato l’uomo bianco è paragonabile alla vita felice all’epoca in cui le praterie non erano recintate”.
“Quando avevo circa quarant’anni, si verificarono nel nostro paese grandi cambiamenti che ci costrinsero a un tipo di vita totalmente diverso. Tutti sapevano ormai che presto non ci sarebbero stati più bisonti nella prateria e si domandavano come avrebbero potuto sopravvivere. Non si facevano quasi più incursioni e di conseguenza non c’erano più bottini di guerra. Eravamo circondati da bianchi che allevavano bovini. Le loro case sorgevano vicino ai punti d’accesso all’acqua e i loro villaggi sui fiumi. Nonostante i cambiamenti che avevano portato, decidemmo di mantenere rapporti amichevoli con loro, anche se non era facile, perché troppo spesso i bianchi promettevano di fare qualche cosa, ma quando la realizzavano si trattava di qualcosa di completamente diverso”.
“La terra che calpestiamo è una terra sacra. È la polvere e il sangue dei nostri antenati. Su queste pianure il Grande Padre Bianco mandò i suoi soldati armati con lunghi coltelli e fucili per uccidere gli Indiani. Molti di loro dormono lassù sulla collina dove Pahaska – Capo Bianco dai Lunghi Capelli (il generale Custer) – combatté e cadde così valorosamente.
Passeranno ancora pochi soli e noi non ci saremo più, e la nostra polvere e le nostre ossa si mescoleranno con la terra delle praterie. Riesco a scorgere come in una visione le scintille morenti dei fuochi dei nostri consigli, le ceneri fredde e bianche. Non vedo più le spirali di fumo uscire dalle aperture sulle nostre tende. Non sento più le donne cantare mentre preparano il pranzo.
L’antilope non c’è più, i pantani dei bisonti sono vuoti. Si sente solo l’ululato del coyote. La medicina dell’uomo bianco è più forte della nostra; il suo cavallo di ferro (la ferrovia) corre sulle piste dei bisonti. Ci parla attraverso il suo ‘spirito che sussurra’ (il telefono).
Siamo come uccelli con un’ala spezzata. Il mio cuore è freddo. I miei occhi si fanno deboli, sono vecchio”.