Abituati al rapporto un po’ mercantile tra terapeuta e paziente, può capitare di dimenticare che il contatto tra questi due soggetti può essere visto in generale come una buona occasione di evoluzione personale per entrambi…
Tale possibilità si fa evidente nel caso del trattamento corporeo, dove il contatto fisico, con la sua centralità, amplifica gli effetti e le implicazioni della comunicazione corporea. Il fatto che si tratta di una situazione al di fuori dei comportamenti usuali, che può essere considerata ‘protetta’, praticamente da laboratorio, contribuisce a far emergere significati e potenzialità di questa comunicazione. Comunicazione sottile come sottile è l’azione del massaggio terapeutico. Si racconta che in Giappone l’arte dei trattamenti shiatsu fosse tradizionalmente svolta dai ciechi. Tutto ciò che c’è da sapere arriva infatti attraverso il contatto dell’organo più sensibile che abbiamo: le mani. Così i ‘vuoti’ e i ‘pieni’ diventano per il terapeuta preziosi messaggi sullo stato degli organi e delle viscere. Il quadro complessivo del paziente si va precisando nella mente del terapeuta a mano a mano che le sue mani esplorano il ‘paesaggio’ complesso del paziente, composto di canali, monti, valli, asperità e mollezze, blocchi e fluidità. In accordo con l’esplorazione del ‘paesaggio’ la sensazione che egli riceve è qualcosa che somiglia più ad una sensazione climatica, come caldo o freddo o umido o secco, piuttosto che una descrizione geometrica.
Parlare di ‘microcosmo’ con riferimento al corpo umano è quanto mai appropriato per un terapeuta. Si tratta propriamente di viaggiare negli infiniti mondi di cui l’umanità, attraverso ciascuno dei suoi componenti, è rappresentazione. Ogni mondo ha la sua atmosfera e il suo stato fisico, la sua distanza dal Sole, la sua orbita che è la traiettoria della sua specifica esistenza. Perciò il viaggio terapeutico non può mai essere uguale a se stesso, così come visitare un luogo o una città di questo mondo non è mai una esperienza che si ripete nello stesso modo. Ma viaggiare nella terra del paziente è viaggiare nella propria terra poiché soltanto ciò che si riconosce in se stessi può essere riconosciuto nell’altro. Perciò il continuo contatto con le infinite modalità degli stati fisici, psicologici e spirituali dei pazienti aiuta il terapeuta a migliorarsi, cioè a riconoscere se stesso. Nello specchio delle sue sensazioni si riflette il microcosmo del paziente e tanto più egli sa osservare nel suo specchio tanto più la sua azione terapeutica avrà successo.
Descrivere cosa sia esattamente questo ‘conoscere’ del terapeuta, questo osservare per comprendere, è impresa ardua perché appartiene alla sfera della percezione di elementi non misurabili. La relazione che si stabilisce tra le due persone in gioco, in quel momento, è totalmente irriproducibile e può essere vissuta e governata solo in quel preciso contesto. Bene, chiederà qualcuno, è dove sta la scientificità dell’approccio? Bene, rispondo, non siamo nel campo della scienza intesa in senso occidentale. Infatti chi ha mai misurato i meridiani o visualizzato i punti di agopuntura? Ma misurazione e visualizzazione sono solo alcune delle modalità del verificabile così come l’intuizione è uno dei modi di percezione della realtà. Però l’agopuntura è entrata anche nei nostri ospedali per il semplice motivo che ne sono stati verificati gli affetti. Semmai c’è da meravigliarsi come personaggi di tanto tempo fa siano stati in grado di sviluppare capacità percettive e di osservazione talmente efficaci da elaborare un modello di funzionamento biologico così complesso e funzionale.
Ma se l’approccio è così poco riproducibile e così poco misurabile, allora come descrivere ciò che accade nel terapeuta e nel paziente? La risposta sarebbe semplice: provate e vedrete. Però, visto che qui ci troviamo nel campo delle parole, si deve cercare di utilizzare ciò che il linguaggio permette, cominciando a chiarire il titolo. Non ho scelto a caso il termine ‘evoluzione’. La fase dell’apprendimento si riferisce ai processi intellettuali che il terapeuta affronta negli anni della sua preparazione. Ma evolvere è tutt’altra cosa: si tratta di un processo graduale verso forme naturali e spirituali più progredite. Infatti è possibile conoscere o apprendere ma non è detto che questo porti a progredire. Insomma l’apprendimento è lo strumento mentre l’evoluzione ne è l’auspicabile effetto.
Non è questa la sede per una trattazione linguistica ma in questo campo è fondamentale mettersi d’accordo sui termini. L’evoluzione è, in sintesi, un processo molto più complesso dell’apprendimento, perché riguarda tutti i piani dell’esistenza. Non a caso si parla di ‘evoluzione della specie’ non di ‘apprendimento della specie’. Certamente esiste uno schema di riferimento nel campo dei trattamenti corporei che è uguale per tutti: ci sono dei meridiani, delle zone di riflesso, dei punti significativi eccetera. Questo schema viene ‘appreso’ dal terapeuta. Ma il grado della sua evoluzione si vede quando deve applicare lo schema al caso specifico. Se egli, attraverso la sua esperienza, è riuscito a progredire, allora acquisisce la capacità di seguire la saggezza delle sue mani, abbandonando la semplice logica della causa e dell’effetto ma entrando nel corpo del paziente come se fosse il proprio.
Non si tratta più di applicare pedissequamente gli schemi appresi, ma di metterli al servizio della saggezza delle sue sensazioni. Così l’insieme di fattori ‘climatici’ che può avvertire in una certa zona della schiena, tanto per fare un esempio, vanno rapportati al tipo di paziente di cui lui si è costruito una immagine complessiva, a ciò che il paziente esprime verbalmente, al suo aspetto generale, alla situazione di altre zone del corpo non necessariamente in connessione diretta, al tipo di reazione che avverte nei movimenti eccetera. Molti di tali fattori sono labili, mutevoli, appena percettibili dalla coscienza. Essi non fanno parte dell’insegnamento intellettuale ricevuto ma del modo di evolvere, appunto, della sua esperienza e della sua consapevolezza.
Imparare facendo è il motto di tutte queste discipline di derivazione orientale che comprendono anche le arti marziali che sono un modo diverso, per finalità e metodi, di applicare gli stessi principi. Nessun insegnante professionale potrebbe mostrare come si avverte il ‘pieno’ o il ‘vuoto’ delle aree o dei punti. Le parole mostrano in questo caso tutti i loro limiti. Se l’insegnante dicesse che si deve tenere premuto un determinato punto fino a che non si avverte la sensazione di un bicchiere che si sta riempiendo d’acqua sotto il rubinetto l’allievo non ne saprebbe veramente molto di più. Se dichiarasse che l’intenzione che si pone nell’azione contribuisce in modo determinante a ‘riempire’, o ‘svuotare’, il bicchiere, non avrebbe per il principiante molto senso compiuto.
Perciò durante i corsi quello che si insegna attraverso ore e ore di pratica è di riconoscere e avere fiducia nelle proprie esclusive sensazioni attraverso la constatazione e la sperimentazione degli effetti. L’insegnante aiuta a riconoscere tali effetti raccordandoli con lo schema generale e i principi guida. Soprattutto è l’allievo che a poco a poco riconosce tali effetti in se stesso quando è il proprio turno di porsi sotto le mani dei colleghi che stanno a loro volta imparando. Attraverso il tocco corretto o scorretto degli altri egli impara a sue spese il grado di efficacia di una particolare azione. In pratica ciò che si insegna soprattutto è come diventare maestri di se stessi.
Insomma, quello di cui sto parlando è un processo comunicativo piuttosto al di fuori dai canoni di apprendimento a cui siamo abituati, fondati sull’approccio intellettuale, logico analitico, prevalentemente affidato al linguaggio descrittivo. Scoprire i modi e le possibilità di questo modo di apprendere che, come ho detto, riguarda gran parte delle discipline orientali, dal massaggio, alle arti marziali, allo yoga, è di per se una grande esperienza, che va oltre la scoperta delle possibilità terapeutiche del massaggio. Si tratta di un grande insegnamento di vita.Tutto ciò giustifica l’uso della parola ‘evoluzione’. Tale uso è giustificato anche per il paziente? Certamente. Per il paziente, spesso ignaro o senza adeguata esperienza dei significati delle sue proprie sensazioni, seguire con fiducia le mani del terapeuta significa viaggiare nei luoghi spesso ignorati o sconosciuti del proprio corpo, dove si annidano i suoi squilibri di vario livello sotto forma di blocchi di energia.
La fiducia tra paziente e terapeuta è fondamentale poiché si tratta di affidargli il bene più prezioso che abbiamo: il corpo. E, ancora di più, perché il corpo è il supporto dell’anima e solo la fiducia può gettare un ponte tra le due entità sottili che entrano in contatto. Inoltre viaggiare in territori sconosciuti implica una certa dose di apprensione che solo la fiducia in chi guida può far superare. Se il ponte non si stabilisce non c’è comunicazione e se non c’è comunicazione il trattamento non potrà che rimanere in superficie, avere effetti limitati ed effimeri. La gestione efficace e corretta di tale sottile comunicazione è compito del terapeuta che, per esperienza, sa riconoscere i vari momenti della relazione, tra una seduta e l’altra e all’interno della stessa seduta; sa indirizzare con tocco sapiente le proprie e le altrui sensazioni; si avvede quando la seduta ha esaurito la sua funzione e se ha ottenuto quello che si prefiggeva. Il paziente non può avere la stessa sapienza, però è possibile permettergli di vivere con discrezione e libertà tutti i suoi momenti, anche quelli più difficili quando cominciano ad affiorare antichi disagi e inconsci squilibri.
Il bravo terapeuta è colui che accompagna il paziente nel viaggio dentro il mistero di se stesso permettendo alle sue stesse energie di guarigione di esprimersi e manifestarsi, per ritrovare il grande tesoro dell’equilibrio energetico. È singolare che terapeuta fa rima con argonauta, il cercatore di arcane magie. O, se preferite, con ermeneuta, colui che sa interpretare linguaggi e simboli antichi. A volte questo viaggio comporta molta pazienza e molto coraggio da parte di entrambi. La pazienza però si nutre del cibo già citato, cioè della fiducia.
Naturalmente non è possibile avere fiducia nell’altro se non si ha un certo grado di fiducia verso se stessi. Mettere il proprio corpo nelle mani di qualcuno è già l’espressione di un bisogno di riavvicinarsi a se stessi, costituisce già un buon grado di fiducia nel prossimo. Questo bisogno e questa fiducia rappresentano i migliori strumenti per sottomettere i propri disagi alla percezione del terapeuta, per arrendersi rispetto ai canoni usuali dei rapporti sociali, rispetto ai propri condizionamenti, deponendo le armi difensive. Per tutto ciò si può parlare a buon diritto di ‘evoluzione’ del paziente: egli sperimenta una forma di apprendimento verso se stesso attraverso le sensazioni ricevute dal corpo. È un processo di integrazione e sintesi dei suoi aspetti fisici, mentali, emozionali, energetici, ai vari livelli di intensità. Il ripristino dell’armonia dei flussi energetici promuove una esistenza a maggior tasso di evoluzione perché maggiormente integrata nei suoi vari aspetti o manifestazioni. A quale grado ciò avvenga dipende da infiniti fattori che coinvolgono le virtù e i condizionamenti del paziente, oltre alla bravura del terapeuta. Ma anche un piccolo movimento ha una grande importanza.
È possibile in questo senso scorgere delle analogie con un altro importante aspetto del cammino evolutivo: quello tra maestro e discepolo. Se si ammette che per un autentico cammino evolutivo, nel senso esposto, sia necessaria la presenza di un vero maestro, più o meno come è richiesto per qualsiasi altra attività di apprendistato umana, allora non si può non scorgere l’importanza della fiducia, dell’umiltà e della sottomissione anche per tale specialissimo rapporto.Non è il caso qui di andare oltre su questo tema che meriterebbe una trattazione a sé. Basta aggiungere che nel caso del rapporto tra terapeuta e paziente la distinzione dei ruoli, a parte la specifica conoscenza tecnica, si definisce volta per volta in un meccanismo squisitamente dinamico. In ciascuna fase del ciclo di trattamento ciascuno riveste di volta in volta i panni del maestro e del discepolo. Un bravo terapeuta, guidato dall’esperienza e dall’umiltà, sa riconoscere questi momenti e servirsene. Il bravo paziente, sorretto dall’umiltà e dalla fiducia, saprà assecondare tale processo anche senza conoscerlo, permettendo che si manifesti liberamente e con sua profonda gratificazione una delle più grandi e misteriose forme di intelligenza dell’universo: la saggezza del corpo.
Tale possibilità si fa evidente nel caso del trattamento corporeo, dove il contatto fisico, con la sua centralità, amplifica gli effetti e le implicazioni della comunicazione corporea. Il fatto che si tratta di una situazione al di fuori dei comportamenti usuali, che può essere considerata ‘protetta’, praticamente da laboratorio, contribuisce a far emergere significati e potenzialità di questa comunicazione. Comunicazione sottile come sottile è l’azione del massaggio terapeutico. Si racconta che in Giappone l’arte dei trattamenti shiatsu fosse tradizionalmente svolta dai ciechi. Tutto ciò che c’è da sapere arriva infatti attraverso il contatto dell’organo più sensibile che abbiamo: le mani. Così i ‘vuoti’ e i ‘pieni’ diventano per il terapeuta preziosi messaggi sullo stato degli organi e delle viscere. Il quadro complessivo del paziente si va precisando nella mente del terapeuta a mano a mano che le sue mani esplorano il ‘paesaggio’ complesso del paziente, composto di canali, monti, valli, asperità e mollezze, blocchi e fluidità. In accordo con l’esplorazione del ‘paesaggio’ la sensazione che egli riceve è qualcosa che somiglia più ad una sensazione climatica, come caldo o freddo o umido o secco, piuttosto che una descrizione geometrica.
Parlare di ‘microcosmo’ con riferimento al corpo umano è quanto mai appropriato per un terapeuta. Si tratta propriamente di viaggiare negli infiniti mondi di cui l’umanità, attraverso ciascuno dei suoi componenti, è rappresentazione. Ogni mondo ha la sua atmosfera e il suo stato fisico, la sua distanza dal Sole, la sua orbita che è la traiettoria della sua specifica esistenza. Perciò il viaggio terapeutico non può mai essere uguale a se stesso, così come visitare un luogo o una città di questo mondo non è mai una esperienza che si ripete nello stesso modo. Ma viaggiare nella terra del paziente è viaggiare nella propria terra poiché soltanto ciò che si riconosce in se stessi può essere riconosciuto nell’altro. Perciò il continuo contatto con le infinite modalità degli stati fisici, psicologici e spirituali dei pazienti aiuta il terapeuta a migliorarsi, cioè a riconoscere se stesso. Nello specchio delle sue sensazioni si riflette il microcosmo del paziente e tanto più egli sa osservare nel suo specchio tanto più la sua azione terapeutica avrà successo.
Descrivere cosa sia esattamente questo ‘conoscere’ del terapeuta, questo osservare per comprendere, è impresa ardua perché appartiene alla sfera della percezione di elementi non misurabili. La relazione che si stabilisce tra le due persone in gioco, in quel momento, è totalmente irriproducibile e può essere vissuta e governata solo in quel preciso contesto. Bene, chiederà qualcuno, è dove sta la scientificità dell’approccio? Bene, rispondo, non siamo nel campo della scienza intesa in senso occidentale. Infatti chi ha mai misurato i meridiani o visualizzato i punti di agopuntura? Ma misurazione e visualizzazione sono solo alcune delle modalità del verificabile così come l’intuizione è uno dei modi di percezione della realtà. Però l’agopuntura è entrata anche nei nostri ospedali per il semplice motivo che ne sono stati verificati gli affetti. Semmai c’è da meravigliarsi come personaggi di tanto tempo fa siano stati in grado di sviluppare capacità percettive e di osservazione talmente efficaci da elaborare un modello di funzionamento biologico così complesso e funzionale.
Ma se l’approccio è così poco riproducibile e così poco misurabile, allora come descrivere ciò che accade nel terapeuta e nel paziente? La risposta sarebbe semplice: provate e vedrete. Però, visto che qui ci troviamo nel campo delle parole, si deve cercare di utilizzare ciò che il linguaggio permette, cominciando a chiarire il titolo. Non ho scelto a caso il termine ‘evoluzione’. La fase dell’apprendimento si riferisce ai processi intellettuali che il terapeuta affronta negli anni della sua preparazione. Ma evolvere è tutt’altra cosa: si tratta di un processo graduale verso forme naturali e spirituali più progredite. Infatti è possibile conoscere o apprendere ma non è detto che questo porti a progredire. Insomma l’apprendimento è lo strumento mentre l’evoluzione ne è l’auspicabile effetto.
Non è questa la sede per una trattazione linguistica ma in questo campo è fondamentale mettersi d’accordo sui termini. L’evoluzione è, in sintesi, un processo molto più complesso dell’apprendimento, perché riguarda tutti i piani dell’esistenza. Non a caso si parla di ‘evoluzione della specie’ non di ‘apprendimento della specie’. Certamente esiste uno schema di riferimento nel campo dei trattamenti corporei che è uguale per tutti: ci sono dei meridiani, delle zone di riflesso, dei punti significativi eccetera. Questo schema viene ‘appreso’ dal terapeuta. Ma il grado della sua evoluzione si vede quando deve applicare lo schema al caso specifico. Se egli, attraverso la sua esperienza, è riuscito a progredire, allora acquisisce la capacità di seguire la saggezza delle sue mani, abbandonando la semplice logica della causa e dell’effetto ma entrando nel corpo del paziente come se fosse il proprio.
Non si tratta più di applicare pedissequamente gli schemi appresi, ma di metterli al servizio della saggezza delle sue sensazioni. Così l’insieme di fattori ‘climatici’ che può avvertire in una certa zona della schiena, tanto per fare un esempio, vanno rapportati al tipo di paziente di cui lui si è costruito una immagine complessiva, a ciò che il paziente esprime verbalmente, al suo aspetto generale, alla situazione di altre zone del corpo non necessariamente in connessione diretta, al tipo di reazione che avverte nei movimenti eccetera. Molti di tali fattori sono labili, mutevoli, appena percettibili dalla coscienza. Essi non fanno parte dell’insegnamento intellettuale ricevuto ma del modo di evolvere, appunto, della sua esperienza e della sua consapevolezza.
Imparare facendo è il motto di tutte queste discipline di derivazione orientale che comprendono anche le arti marziali che sono un modo diverso, per finalità e metodi, di applicare gli stessi principi. Nessun insegnante professionale potrebbe mostrare come si avverte il ‘pieno’ o il ‘vuoto’ delle aree o dei punti. Le parole mostrano in questo caso tutti i loro limiti. Se l’insegnante dicesse che si deve tenere premuto un determinato punto fino a che non si avverte la sensazione di un bicchiere che si sta riempiendo d’acqua sotto il rubinetto l’allievo non ne saprebbe veramente molto di più. Se dichiarasse che l’intenzione che si pone nell’azione contribuisce in modo determinante a ‘riempire’, o ‘svuotare’, il bicchiere, non avrebbe per il principiante molto senso compiuto.
Perciò durante i corsi quello che si insegna attraverso ore e ore di pratica è di riconoscere e avere fiducia nelle proprie esclusive sensazioni attraverso la constatazione e la sperimentazione degli effetti. L’insegnante aiuta a riconoscere tali effetti raccordandoli con lo schema generale e i principi guida. Soprattutto è l’allievo che a poco a poco riconosce tali effetti in se stesso quando è il proprio turno di porsi sotto le mani dei colleghi che stanno a loro volta imparando. Attraverso il tocco corretto o scorretto degli altri egli impara a sue spese il grado di efficacia di una particolare azione. In pratica ciò che si insegna soprattutto è come diventare maestri di se stessi.
Insomma, quello di cui sto parlando è un processo comunicativo piuttosto al di fuori dai canoni di apprendimento a cui siamo abituati, fondati sull’approccio intellettuale, logico analitico, prevalentemente affidato al linguaggio descrittivo. Scoprire i modi e le possibilità di questo modo di apprendere che, come ho detto, riguarda gran parte delle discipline orientali, dal massaggio, alle arti marziali, allo yoga, è di per se una grande esperienza, che va oltre la scoperta delle possibilità terapeutiche del massaggio. Si tratta di un grande insegnamento di vita.Tutto ciò giustifica l’uso della parola ‘evoluzione’. Tale uso è giustificato anche per il paziente? Certamente. Per il paziente, spesso ignaro o senza adeguata esperienza dei significati delle sue proprie sensazioni, seguire con fiducia le mani del terapeuta significa viaggiare nei luoghi spesso ignorati o sconosciuti del proprio corpo, dove si annidano i suoi squilibri di vario livello sotto forma di blocchi di energia.
La fiducia tra paziente e terapeuta è fondamentale poiché si tratta di affidargli il bene più prezioso che abbiamo: il corpo. E, ancora di più, perché il corpo è il supporto dell’anima e solo la fiducia può gettare un ponte tra le due entità sottili che entrano in contatto. Inoltre viaggiare in territori sconosciuti implica una certa dose di apprensione che solo la fiducia in chi guida può far superare. Se il ponte non si stabilisce non c’è comunicazione e se non c’è comunicazione il trattamento non potrà che rimanere in superficie, avere effetti limitati ed effimeri. La gestione efficace e corretta di tale sottile comunicazione è compito del terapeuta che, per esperienza, sa riconoscere i vari momenti della relazione, tra una seduta e l’altra e all’interno della stessa seduta; sa indirizzare con tocco sapiente le proprie e le altrui sensazioni; si avvede quando la seduta ha esaurito la sua funzione e se ha ottenuto quello che si prefiggeva. Il paziente non può avere la stessa sapienza, però è possibile permettergli di vivere con discrezione e libertà tutti i suoi momenti, anche quelli più difficili quando cominciano ad affiorare antichi disagi e inconsci squilibri.
Il bravo terapeuta è colui che accompagna il paziente nel viaggio dentro il mistero di se stesso permettendo alle sue stesse energie di guarigione di esprimersi e manifestarsi, per ritrovare il grande tesoro dell’equilibrio energetico. È singolare che terapeuta fa rima con argonauta, il cercatore di arcane magie. O, se preferite, con ermeneuta, colui che sa interpretare linguaggi e simboli antichi. A volte questo viaggio comporta molta pazienza e molto coraggio da parte di entrambi. La pazienza però si nutre del cibo già citato, cioè della fiducia.
Naturalmente non è possibile avere fiducia nell’altro se non si ha un certo grado di fiducia verso se stessi. Mettere il proprio corpo nelle mani di qualcuno è già l’espressione di un bisogno di riavvicinarsi a se stessi, costituisce già un buon grado di fiducia nel prossimo. Questo bisogno e questa fiducia rappresentano i migliori strumenti per sottomettere i propri disagi alla percezione del terapeuta, per arrendersi rispetto ai canoni usuali dei rapporti sociali, rispetto ai propri condizionamenti, deponendo le armi difensive. Per tutto ciò si può parlare a buon diritto di ‘evoluzione’ del paziente: egli sperimenta una forma di apprendimento verso se stesso attraverso le sensazioni ricevute dal corpo. È un processo di integrazione e sintesi dei suoi aspetti fisici, mentali, emozionali, energetici, ai vari livelli di intensità. Il ripristino dell’armonia dei flussi energetici promuove una esistenza a maggior tasso di evoluzione perché maggiormente integrata nei suoi vari aspetti o manifestazioni. A quale grado ciò avvenga dipende da infiniti fattori che coinvolgono le virtù e i condizionamenti del paziente, oltre alla bravura del terapeuta. Ma anche un piccolo movimento ha una grande importanza.
È possibile in questo senso scorgere delle analogie con un altro importante aspetto del cammino evolutivo: quello tra maestro e discepolo. Se si ammette che per un autentico cammino evolutivo, nel senso esposto, sia necessaria la presenza di un vero maestro, più o meno come è richiesto per qualsiasi altra attività di apprendistato umana, allora non si può non scorgere l’importanza della fiducia, dell’umiltà e della sottomissione anche per tale specialissimo rapporto.Non è il caso qui di andare oltre su questo tema che meriterebbe una trattazione a sé. Basta aggiungere che nel caso del rapporto tra terapeuta e paziente la distinzione dei ruoli, a parte la specifica conoscenza tecnica, si definisce volta per volta in un meccanismo squisitamente dinamico. In ciascuna fase del ciclo di trattamento ciascuno riveste di volta in volta i panni del maestro e del discepolo. Un bravo terapeuta, guidato dall’esperienza e dall’umiltà, sa riconoscere questi momenti e servirsene. Il bravo paziente, sorretto dall’umiltà e dalla fiducia, saprà assecondare tale processo anche senza conoscerlo, permettendo che si manifesti liberamente e con sua profonda gratificazione una delle più grandi e misteriose forme di intelligenza dell’universo: la saggezza del corpo.