Tra le prove più convincenti di vita dopo la morte ci sono quelle fornite da persone che hanno avuto un’esperienza di premorte (EPM), in cui sono state riportate in vita quando erano sul punto di morire e ricordano cosa è accaduto loro mentre venivano rianimate e l’ECG stava diventando piatto.

Le EPM sono molto più comuni di quanto si possa pensare. Milioni di individui in tutto il mondo le hanno avute. In un importante studio pubblicato nel 2001 nella rivista medica The Lancet,* sono stati esaminati 344 pazienti cardiopatici che erano stati rianimati dopo un arresto cardiaco. 62 di essi (il 18 per cento) avevano avuto un’esperienza di premorte.

In base ai racconti, esistono vari livelli di EPM: uscire dal corpo, dirigersi verso una luce, emergere dall’“altra parte”. Molte persone descrivono con esattezza la procedura di rianimazione e riferiscono fedelmente le conversazioni del personale medico. Sembra che alcuni individui sperimentino il passaggio attraverso un tunnel prima di affacciarsi dall’altra parte. Altri incontrano parenti e amici deceduti da anni. Molti parlano anche della presenza di una fonte di luce intelligente che descrivono come un angelo o una figura religiosa.

Questo fatto è difficile da accettare per la comunità scientifica ortodossa. Come sappiamo, secondo l’idea convenzionale la coscienza è un prodotto di sostanze chimiche cerebrali, quindi esiste solo finché il cervello è vivo. In base a tale visione, quando l’elettroencefalogramma è piatto non possono esservi esperienza consce.

Ma con l’avvento di nuove ed efficaci tecniche di brain imaging, la nostra conoscenza del cervello sta cominciando a cambiare. Stiamo apprendendo che i nostri pensieri non sono causati dalla chimica cerebrale, ma al contrario sono essi che causano gran parte di ciò che avviene nel cervello. Non è una via a senso unico in cui sostanze chimiche producono pensieri ed emozioni. Per esempio, la fMRI (risonanza magnetica funzionale) mostra che alcune aree del cervello si illuminano quando pensiamo a una certa cosa. Si parla perfino di leggere la mente delle persone osservando quali zone si illuminano quando formulano particolari pensieri.

Anche se molti ritengono che la moderna ricerca non abbia dimostrato che la coscienza può esistere al di fuori del cervello, gli studi condotti sull’EPM indicano invece che è così. Quando il cervello muore, la coscienza non può più essere “ricevuta” da esso e dai cinque sensi, ma continua a percepire cose all’esterno del corpo. È per questo che tante persone sono in grado di osservare la procedura in corso per rianimarle.

Spesso un’EPM cambia completamente la persona. Nello studio sopra citato, i pazienti sono stati intervistati dopo la rianimazione, poi dopo due anni e poi di nuovo dopo otto anni. Per quasi tutti l’esperienza aveva un durevole effetto positivo. Tendevano a essere più estroversi, più disponibili, premurosi ed empatici verso gli altri, a lasciarsi maggiormente coinvolgere nelle faccende familiari, ad avere un senso più profondo del significato della vita, un maggiore interesse per la spiritualità e ad apprezzare di più le cose ordinarie. Inoltre, temevano molto meno la morte e credevano nell’aldilà assai più di prima. Si erano chiaramente evoluti in coscienza.

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*P. van Lommel, R. van Wees, v. Meyers e I. Ellferich, “Near-death experiences in survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Netherlands”, in The Lancet, 2001, 358, pp. 2039-45.

 

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