Collegio dei docenti in un conservatorio dell’Italia centrale, ventunesimo secolo. Il direttore legge una lista di proposte di corsi straordinari da sottoporre all’approvazione del collegio, tra cui il corso di canto armonico (tenuto da chi scrive).
In una pausa della voce del direttore, s’inserisce un’altra voce, sonora e baritonale, che esclama testualmente:
“Ahò, ma che è ‘sto canto armonico?”
Per la cronaca, la voce in questione era quella, ben impostata, di uno degli insegnanti di canto.
Potrei citare altri episodi simili, da cui si deduce che molti, anche addetti ai lavori, non hanno idea di cosa sia il canto armonico, che è quella cosa di cui “mi occupo”, per usare un’espressione non proprio elegante, dal 1972. “Occuparmene” significa praticarlo in diversi contesti, che vanno dall’attività concertistica all’insegnamento alla scrittura[1].
Vi sono poi molti altri che credono di sapere cos’è il canto armonico, oppure che vogliono far credere di saperlo, come quando mi trovo a cena da amici, e cortesi sconosciuti mi chiedono di cosa mi occupo. Quando rispondo che mi occupo di canto armonico c’è chi non dice nulla e si esibisce in imbarazzati segni di assenso; poi c’è chi osa fare la stessa domanda del mio collega insegnante di canto, magari ponendola con un po’ più di grazia. Da questo punto in poi, avrebbe detto Heisenberg, lo scopritore del principio d’indeterminazione che porta il suo nome, dipende.
Dipende soprattutto dal mood di chi scrive. A volte dò prova di sottile sadismo, e introduco con disinvoltura nella conversazione termini come kargiraa, khöömeij, temperamento equabile, sospensione del dialogo mentale e comma pitagorico. Dopodiché la conversazione può languire, come prima, oppure assumere le forme più varie. Tra queste, ecco alcune tra le più frequenti:
Ah, sì.
Ah sì, sono tecniche orientali.
Una specie di canto gregoriano.
Una roba un po’ indiana.
Una cosa che fanno in Tibet.
Lo fanno anche in Sardegna.
Quello in cui non si respira mai.
C’entra con la meditazione.
Naturalmente, vi sono anche coloro che il canto armonico lo conoscono benissimo, perché lo praticano, ma ho l’impressione che non siano la maggioranza.
Allora, ho pensato di scrivere qualcosa che veramente, e per quanto possibile, dia definizioni chiare. Di più la parola scritta non può fare, a meno che non sia poesia, e della migliore. Ci vorrebbe un haiku, di quelli proprio zen, ma non mi viene. “Il resto è silenzio,” per dirla con Amleto; o se preferite “di ciò di cui non si può parlare si deve tacere,” per dirla con Wittgenstein.
Tutto questo per dire che le parole non possono trasmettere l’esperienza del canto armonico, proprio in quanto si tratta di esperienza, per ciò stesso cosa diversa dalla sua descrizione. Nel migliore dei casi, le parole possono evocare degli schemi rappresentativi condivisi, come quando due o più persone parlano di un’esperienza che hanno vissuto insieme, e anche lì ci sarebbe molto da dire e non dire…
Come ben si vede, sarebbe stato meglio evitare la filosofia, che di solito porta a delle incertezze insormontabili (il che, tra l’altro, nell’ambiente viene spesso ritenuta una buona cosa), per cui d’ora in poi mi atterrò ai fatti (per così dire).
E dunque, i fatti sono questi: in alcune parti del mondo si praticano tuttora forme di canto assai dissimili dall’idea di canto comunemente accettata, anche se quest’ultima è qualcosa di simile al “comune senso del pudore”, in nome del quale sono stati condannati libri e scrittori che oggi arrossirebbero davanti al Grande fratello in prima serata. Comunque sia, e relativismo a parte, alcune differenze importanti vi sono. Proviamo a vederne qualcuna-
Innanzitutto il suono stesso della voce. Di norma, una voce è facilmente decodificabile in termini di frequenze, il che, tradotto in italiano normale e non da fisica acustica, significa che la voce solitamente viene usata in funzione melodica, per cantare melodie.[2] Invece, ad esempio, il canto tantrico rituale tibetano non si può “ricantare”, come quando si canta una canzone che abbiamo appena ascoltato alla radio, perché non c’è melodia oltre un vago oscillare, e d’altra parte il suono stesso della voce appare talmente complesso che non si riesce ad imitare nella misura in cui, poniamo, si riesce ad imitare uno stornello romano o un cantante di blues. D’altra parte, è proprio quel suono strano e profondo, che sembra evocare un Louis Armstrong buddista, a dare quel brivido lungo la spina dorsale, piccola sferzata alla kundalini,[3] che forse è la ragione per cui si dice che in Tibet questo tipo di canto sia stato praticato per molto molto tempo, ragion per cui abbiamo cominciato a praticarlo anche in occidente.
Prendiamo un altro esempio, un canto tradizionale Tuva o della Buriazia.[4] Qui all’inizio sembrerebbe una cosa più semplice, perché si percepisce un melodia alquanto pentatonica,[5] ma poi sembra che la voce si sdoppi in due parti nettamente differenziate, l’una una sorta di bordone, l’altra una sorta di fischio più acuto che intona familiari intervalli di seconda e di terza. Insomma, anche questa si direbbe una cosa difficile assai da imparare.
Il canto tibetano e le varie forme di throat-singing (letteralmente: canto di gola) dell’Asia centrale appartengono ad un corpus di tecniche vocali che rendono più o meno chiaramente percepibile lo spettro del suono, il che è la definizione che normalmente si dà del canto armonico. A questo punto occorre comprendere il termine “spettro”, (sottinteso: armonico), e anche una piccola riflessione sulla natura del suono non sarebbe fuori luogo.
Riguardo non tanto la natura, quanto la fenomenologia del suono, essa si suole analizzare e descrivere secondo vari parametri. I principali sono:
1.l’altezza, o più precisamente frequenza. Quando diciamo che un suono è più alto rispetto ad un altro potremmo anche, più correttamente, dire che il suono più acuto è prodotto da qualcosa, ad esempio da una corda, che vibra periodicamente più veloce del suono che percepiamo come più grave. Così quando diciamo che il la centrale del pianoforte è o dovrebbe essere intonato alla frequenza di 440 vibrazioni al secondo[6] (o 440 Hertz, dal nome del fisico tedesco che legò la vibrazione alla frequenza), sottintendiamo che quando il martelletto colpisce le corde corrispondenti al la centrale, queste cominciano a vibrare con regolarità 440 volte in un secondo.
2.l’intensità, detta più precisamente ampiezza, è il parametro che ci fa dire che un suono è più o meno forte di un altro. Riferita all’ampiezza della forma d’onda, un’onda che sulla carta o sul monitor del computer sembra avere dei picchi più alti risulterà anche più forte.
3.il timbro, parola di non facile comprensione, che si può definire come il colore del suono.[7] La versione orchestrata da Ravel dei Quadri di un’esposizione, scritti per pianoforte soloda Musorgskij, suona rispetto all’originale come un quadro dipinto con colori ad olio rispetto ad un’incisione.
Detto questo, potrebbe sembrare un parametro vago o soggettivo, ma non è così. Di fatto, ogni suono ha il suo “spettro” caratteristico, composto dall’insieme dei suoi componenti, che si chiamano “suoni armonici”, o più semplicemente “armonici”.[8] Ciascuno di questi suoni ha una sua evoluzione individuale nel tempo: nasce, raggiunge uno o più picchi, decade e si spegne.
Quibdi, il suono non è un fenomeno unidimensionale, e gli armonici si possono definire come i suoi elementi costitutivi, né più né meno delle particelle elementari rispetto alla materia. Questo significa che di solito un suono qualsiasi è costituito da vari suoni, che si chiamano suoni armonici e che solitamente non vengono percepiti individualmente, bensì contribuiscono a formarne il timbro, o colore caratteristico. La costellazione o insieme degli armonici si chiama “spettro.”
Vi sono musiche nel mondo che hanno sviluppato il controllo del parametro “timbro”, mentre l’occidente ha privilegiato il parametro “frequenza”. In poche parole, per noi la melodia è sempre stata un elemento molto importante (forse il più importante) nella musica, da cui il melodramma italiano, la canzone napoletana e il festival di Sanremo, mentre altrove sono nate “musiche su una nota sola”, come il canto tibetano e tante altre.
Ora, usando le tecniche del canto armonico si riesce a manipolare il suono della voce in senso contrario a quello che si fa normalmente: il cantante che cambia il timbro della propria voce a fini espressivi ne manipola, più o meno consciamente, lo spettro per ottenere un suono globale che lo soddisfi; il “cantante armonico” (overtone singer) interviene consciamente sullo spettro per isolarne icomponenti, o armonici, che in tal modo si percepiscono come distinti dal suono fondamentale e che nella loro successione spesso formano delle melodie riconoscibili e caratteristiche. Non si tratta quindi tanto di produrre due o più suoni contemporaneamente, ma di un suono fondamentale che si divide nei suoi componenti.
In questo contesto l’aggettivo “armonico” è inteso nelle sue valenze acustiche, quindi non in senso generico (come quando si parla di una serata “in armonia” con gli amici), e nemmeno in senso musicale, come quando si parla della “struttura armonica” di un pezzo o dell’armonia come disciplina che studia la dimensione verticale del suono (per dirla in modo ancora più semplice, gli “accordi”).
Se tutto questo sembra poco, adesso arriva la parte più interessante[9]. Infatti, le melodie a cui accennavo poc’anzi non sembrano casuali, nemmeno ad un ascolto distratto: si ripetono intervalli caratteristici, si percepiscono arpeggi e frammenti di scale, il che colpisce chi ascolta queste tecniche per la prima volta come una vera e propria magìa. Queste regolarità, che non possono passare inosservate, si verificano perché i suoni armonici, esplicitati ed enfatizzati dalle tecniche del canto armonico, provengono comunque da una vera e propria matrice, che si chiama “serie degli armonici”. A questo proposito, viene spesso fatta notare l’analogia con il fenomeno dell’arcobaleno,[10] che ne rappresenta la controparte per ciò che riguarda la percezione visiva. In altre parole, come qualsiasi colore è comunque il risultato dell’interazione tra quelli che si trovano nell’arcobaleno, così qualsiasi suono, anche il più complesso, è il risultato dell’interazione tra suoni che si trovano comunque nella serie degli armonici.
Il fatto che si usi il termine “serie” dovrebbe aiutare a capire che si tratta di una struttura altamente coerente, che reca in sé un alto tasso di informazione, sulla quale in questa sede non è il caso di soffermarsi per non appesantire troppo la trattazione. È importante piuttosto ribadire e far notare come il cantore armonico scelga, con opportuni adattamenti delle labbra, della lingua e del cavo orale, le frequenze che si trovano nella serie e non altre. In questo senso il canto armonico, rispetto al canto “normale”, è un po’ come guidare un treno, il cui percorso è vincolato dai binari, rispetto a guidare un’auto che, almeno teoricamente, può andare dove vuole. In questo senso, il canto armonico è la musica perfetta per quelli che sono stonati, o si ritengono tali.
Nel canto armonico si possono distinguere 3 momenti: percezione, produzione e controllo. In effetti la pratica del canto armonico serve a scardinare la pigrizia della percezione che si adagia sui binari consueti, in favore di una percezione allargata che però bisogna sapersi conquistare, tanto è vero che nei miei workshops una delle prime cose che dico ai partecipanti è che la loro percezione dei suoni non sarà mai più la stessa. Di solito nessuno tiene in gran conto questo avvertimento, per accorgersene quando è ormai troppo tardi…
Quanto alla produzione essa va di pari passo con la percezione e a volte la precede, nel senso che generalmente i principianti producono suoni a volte assai ricchi di armonici, comunque interessanti, di cui non si accorgono, e che, letteralmente, non sentono. Ciò accade per la natura stessa dei suoni armonici, consistenti in pratica di sinusoidi più o meno pure. La sinusoide è la forma d’onda più elementare e meno caratterizzata, e in quanto tale offre pochi appigli alla percezione. Non a caso, quando si parla di armonici si parla, per definizione, di “suoni sottili.”
Infine, il controllo è il compito infinito che attende chiunque pratichi il canto armonico. Infinito in quanto infinita è la serie degli armonici.
Possiamo considerare la serie degli armonici come vettore d’informazione, non fattuale, ma di tipo energetico. In altre parole, considerando che la serie è per definizione infinita, anche se il nostro udito si ferma abbastanza presto, ciascun armonico e i suoi multipli x potenze di 2 veicola una qualità diversa e del tutto specifica. La morfologia della serie è piena di rimandi e interazioni complesse, può essere avvicinata ad un cristallo infinito[11] Quando chi pratica raggiunge un livello di controllo e di coscienza armonica sufficiente comincia ad avere a che fare ad energie non schermate come accade con gli strumenti musicali, che essenzialmente fungono da filtro vibratorio. È facile osservare come in questo punto si trovi la radice della duplice natura (e dei problemi che si possono incontrare nella pratica) del canto armonico:
da una parte il canto armonico consiste di tecniche sonore, e dopo John Cage sappiamo che qualsiasi fonte sonora può essere usata per fare musica, per cui, il canto armonico è musica;
dall’altra il canto armonico, sia per l’eccezionalità di alcune tecniche sia per l’accesso a stati di coscienza come alfa e theta, rispettivamente tra gli 8-13 e 5-7 hz, apre le porte ad esperienze di trance sonora che vanno oltre la normale esperienza musicale limitata al piano estetico.[12] In altre parole, il canto armonico può essere (auto)ipnosi, preghiera, biofeedback, meditazione, (auto)terapia del corpo e dello spirito e tante altre cose. Inutile dire che queste cose non producono di per sé una musica migliore, anche se a volte (penso ad alcuni grandi maestri indiani del passato) è stato così.
Tutto questo funziona un po’ come il mantra indiano (non a caso composto di formule fonetiche che facilmente generano armonici a causa di fenomeni di fase, risonanza, battimenti ed altro.[13]
Per quanto riguarda le musiche per o con canto armonico, esse consistono di:
1.un corpus di musiche tradizionali, spesso associate a contesti sciamanici e di meditazione. Queste musiche sono spesso limitate a delle enclaves etniche particolari, ma c’è chi pensa che in antichità più o meno lontane esse fossero più diffuse, e che ciò che affiora oggi non sia che un frammento di un corpo molto più grande andato perduto;
2.musiche prodotte da musicisti occidentali contemporanei[14] che hanno studiato le tecniche tradizionali aggiungendovi in alcuni casi contributi personali. Parte di queste musiche gravita verso la new age ed espressioni ingenue e devozionali,ma fortunatamente non è sempre così, per cui il ventaglio di espressioni possibili è assai vasto, dall’improvvisazione più o meno strutturata alla realizzazione di partiture più o meno complesse.[15] Ciò accade in quanto di per sé il canto armonico è trasversale e può adattarsi ai generi di musica più diversi.
In conclusione, il canto armonico è qualcosa di unico nel mondo dei suoni e della musica (suono e musica non necessariamente coincidono). Un unicum quasi in via d’esitinzione e spesso confinato ad ambiti esoterici, recuperato verso la fine del XX° secolo nelle sue funzioni musicali, conoscitive e spirituali. Quest’opera di recupero va certamente oltre la mera conservazione ed il restauro di pratiche e conoscenze, ma per un piena re-integrazione nel corpo della terra lacerata tra oriente e occidente ci vorrà ancora tempo e lavoro. Molti hanno in proposito una visione alquanto catastrofista, nel senso che tutte le cose buone o esoteriche sono state scoperte dagli antichi, che comunque facevano queste cose meglio di noi. Personalmente sostengo che ogni epoca e ogni cultura ha le sue specificità nell’affrontare in modi sempre diversi le tematiche fondamentali, e che anche la nostra attuale non è poi così male, vedasi la fisica quantistica, la rivoluzione digitale e tutte le altre piccole e grandi cose che potrebbero, se usate con intelligenza e conoscenza, cambiare l’esistenza e la coscienza dell’umanità. Tra queste cose, se ben usato, può esserci anche il canto armonico.
[1] V. La voce dell’arcobaleno, ediz. Il punto d’incontro, Vicenza, 2002.
[2] Si veda ad es. la dicotomia tra musica pneumatica e musica meccanica nella musica di Mozart proposta dall’Einstein (il musicologo, non il fisico).
[3] Kundalini, nello yoga è l’energia che si trova raggomitolata come un serpente nel primo chakra, e che si può ridestare con le tecniche appropriate per farla salire fino al cervello lungo la colonna vertebrale, ma anche in seguito ad eventi ed episodi importanti nella vita.
[4]Regioni dell’Asia centrale in cui si praticano forme di canto armonico importanti.
[5]Una scala pentatonica comprende 5 suoni distribuiti in modo ineguale lungo la costante dello spazio acustico che chiamiano “ottava”. Vi sono innumerevoli tipi e varianti di scala pentatonica, la scala forse più diffusa nel mondo. Le familiari scale maggiori e minori sono scale di 7 suoni, o eptatoniche.
[6] Col permesso degli sconsiderati che vorrebbero imporre la frequenza di 436 Hz per la stessa nota, spacciandola per la cura universale di tutti i mali del mondo.
[7] In altre lingue si usano termini come tone-color (inglese) o Klangfarbe (tedesco), che letteralmente significano “colore del suono”.
[8]I fisici preferiscono la dizione “armoniche” mentre i musicisti parlano di “armonici”.
[9](“quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”)
[10] In francese, si usa il termine voix de l’arc-en-ciel. Non a caso il mio libro sul canto armonico si intitola “La voce dell’arcobaleno”.
[11] V. Il gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse, come esempio di un’intera società “armonicamente” organizzata, che, peraltro, fallisce.
[12] Anche se nella musica classica occidentale alcuni autori e alcune musiche rimandano a valenze extra-musicali, si veda per tutti Wagner.
[13] È opinione di chi scrive che la tradizione del mantra sia stata elaborata per dare ai praticanti un’esperienza armonica senza dirglielo esplicitamente. Se questo fosse vero, l’essenza del mantra risiede negli armonici che la ripetizione di esso genera.
[14] Ad essi si deve la riscoperta del canto armonico in occidente, avvenuta tra la fine degli anni’60 e l’inizio dei ’70. Stimmung, scritto da Stockhausen nel ’68 per le 6 voci del Collegium Vokale di Colonia, è il primo pezzo che introduce il canto armonico in contesti di musica contemporanea occidentale colta.
[15] Il gruppo di canto armonico da me fondato e condotto dal ’99 al 2006 era stato battezzato In forma di cristalli.