Intervista a Nirodh Fortini, autore di Bodywork, Brainwaves per il mal di testaBrainwaves per l’insonniaBrainwaves per l’apprendimento, Jogging, Work music.

Cosa significa per te “osservare”?
Per me osservare significa sedermi all’interno di me stesso, come se fossi di fronte a un lago molto tranquillo, piatto… senza che alcun sasso venga gettato dentro. A questo punto posso vedere molto più chiaramente cosa sta succedendo nella realtà.

Se, invece, ti fai prendere dalla rabbia, per esempio, allora il lago diventa agitato e tu non riesci a vedere niente. E a quel punto, poiché non sei in grado di guardare serenamente, l’acqua ti travolge.
L’osservare non accade nello spazio del pensiero ma in quello del non-pensiero, perché se tu pensi, ti muovi. Può essere un movimento appena percettibile, ma si tratta sempre di un movimento; è un’increspatura sulla superficie di quel lago interiore.

Come tutto ciò può aiutare, particolarmente in caso di malattia?
Aiutandoti a renderti conto che il tuo essere testimone, il tuo osservare, non è malato; è solo il tuo corpo a esserlo. Se commettiamo l’errore di pensare che la testimonianza sia malata, siamo veramente malati!
Inoltre non dovremmo lasciarci andare al pensiero che se non possiamo fare yoga, o ballare o se non possiamo fare qualsiasi altra cosa, significa che non possiamo realizzarci, perché la realizzazione di noi stessi non è legata esclusivamente al corpo. Il corpo non è un parte intrinseca della crescita interiore. Al contrario, e questo vale per tutti a un certo punto della vita, dobbiamo renderci conto dei limiti del nostro corpo. La nostra testimonianza è come la musica su un CD. La musica non è il CD di plastica. La musica è l’essenza del CD.

E per coloro che sono disabili, ma che non sanno niente di meditazione e di come osservare…?
Essere malato ti costringe a entrare nella tua interiorità, ma se non lo fai seguendo una prospettiva meditativa, entri nella mente e nella sua disperazione. Per esempio, mi capita di incontrare persone disabili che sono molto arrabbiate con la vita e con tutto ciò che è legato ad essa, inclusi gli altri esseri umani.
Possono usare la loro malattia anche per manipolare gli altri. Per esempio, quando c’è una discussione, sanno che alla fine vinceranno perché possono tirar fuori il loro asso nella manica, ossia: “Ho ragione perché sono malato”. Questo atteggiamento funziona quando si gioca sul senso di colpa e di imbarazzo degli altri. È una forma di potere.
Può accadere che utilizzino la loro malattia per punire gli altri. Fanno sentire gli altri in difetto perché non si prendono cura di loro, non li aiutano a sopportare il dolore e così via. Quindi, ripeto, possono creare un senso di colpa in coloro che si prendono cura di loro. Alcuni utilizzano la loro malattia, altri la rinnegano.

Quali risvolti ha, a livello personale, il fatto di non poter contare sulla propria indipendenza?
Essere indipendente non significa essere un’isola e sentire che non hai bisogno di niente da nessuno; significa condividere, senza dipendenza reciproca, ma con amore. Può succedere che la persona disabile sia di aiuto agli altri. Gli altri possono aiutarla con il corpo e può succedere che la persona disabile possa aiutarli psicologicamente. L’importante è che sia uno scambio, non a direzione univoca.

Che tipo di atteggiamento hai verso il tuo corpo? Come ti senti, per esempio, quando non ti permette di fare qualcosa che vuoi fare?
Prima che scoprissi di avere questa malattia, la mia vita era molto intensa. Come molte menti artistiche ero anche piuttosto auto-distruttivo. Paradossalmente, la mia malattia mi ha portato ad abbandonare questo atteggiamento e mi ha obbligato a prestare attenzione al mio corpo. Quello che mi è successo mi ha fatto tornare coi piedi per terra perché, fino ad allora, avevo seguito idee, obiettivi, mettendoci tutta la mia energia e dimenticandomi di avere un corpo.
Il lento processo di una malattia progressiva offre una buona opportunità per osservare la mente, perché osservare è qualcosa che devi imparare, un processo a cui devi essere continuamente richiamato. È qualcosa che tutti noi – non solo chi soffre di una malattia – dimentichiamo e osservare il proprio corpo può essere una buona base per osservare anche tutti gli altri aspetti del nostro “sistema persona”.
Un’altra opportunità che mi si è presentata, attraverso il corpo, è avere tempo per utilizzare me stesso non per una vita molto dinamica, ma per una grande espansione interiore, come per esempio la creatività.

Con la tua compagna, Ushma, hai creato molti  CD per la meditazione e molti CD musicali, tutti reperibili in Italia e negli USA, vero?
Sì. Per anni ho anche condotto delle ricerche sul suono e la mente, lavorando simultaneamente su questo tema: collaboravo esternamente per un un istituto statale che ricovera persone psicotiche, situato sul Lago di Como. Studiando le onde prodotte dalle frasi, apparentemente senza senso, pronunciate da persone affette da turbe psichiche, ho scoperto che, in realtà, c’è un modulo, un ritmo e un significato in ciò che esprimono. Questa scoperta ha rappresentato la base per una pubblicazione dove ho sviluppato un metodo di riconoscimento che aiuta moltissimo la diagnosi.

Tutte le persone disabili hanno il potenziale per essere così creative?
Sì, essere creativi è una possibilità per tutti, anche per i disabili ma prima di esplorare la loro creatività, devono acquisire la consapevolezza dei limiti della loro malattia e della libertà di cui dispongono. Se si lasciano cadere nelle trappole della mente, lamentandosi o lasciandosi andare alla disperazione, perdono un’opportunità perchè, al di là di cosa facciano o non facciano, devono comunque vivere!

Non provi alcun risentimento a essere un portatore di handicap?
È molto importante essere capace di perdonare la madre, il padre o chiunque che ti hanno trasmesso la malattia, perdonare la società e te stesso. Inoltre non devi colpevolizzare nessuno perchè tutti fanno del loro meglio ma, al contrario, devi usare la situazione in cui ti trovi per tuffarti nell’amore e nella consapevolezza. Non è piacevole confrontarti con la società perchè ti fa sentire anormale. Ovviamente non puoi cambiare la società. Vedi persone che fanno cose che tu non puoi fare. È molto pesante da sopportare. Ciò fa parte del perdono che devi concedere a te stesso. Infine dobbiamo essere responsabili di ciò che siamo, dobbiamo accettarlo. Se abbiamo un problema, non dobbiamo crearne un altro!

Puoi essere connesso alla vita in qualsiasi luogo; l’energia non è concentrata maggiormente in un luogo piuttosto che in un altro. Se riusciamo a fare nostra questa percezione, allora ogni cosa assume una sua personalità e possiamo interagire con qualsiasi cosa, per esempio, una pianta in un vaso. È viva; necessita di cure e ogni giorno che passa puoi osservare i suoi cambiamenti. Persino i sassi, se li guardi da questa prospettiva, ti parlano dell’esistenza. Puoi esprimere la tua creatività abbellendo la tua stanza. Puoi decidere di dipingere le pareti di un nuovo colore, di installare un impianto hi-fi, di utilizzare fragranze profumate, insomma di renderla più confortevole in tanti modi diversi. Non è essenziale cercare un posto esterno ideale perché puoi dimenticarti di te stesso in qualsiasi posto! Questa verità vale per tutti e soprattutto per coloro che possono muoversi solo molto lentamente e con l’aiuto degli altri. Di solito le persone senza handicap fisici non prestano alcuna attenzione a ciò che fanno perchè le normali attività quotidiane sono del tutto naturali per loro, ma per le persone disabili, invece, queste attività assumono una grande importanza. Per loro, piccoli eventi o semplici azioni, come salire un gradino,possono rappresentare un problema grande quanto l’Himalaya.
A volte ci troviamo in un posto che ci sembra brutto, ma dentro di noi c’è uno spazio bello a cui non tutti possono accedere. Coloro che utilizzano una porta convenzionale che promette l’accesso alla felicità potrebbero, prima o poi, scoprire che in realtà non è così. Dipende da noi, da come utilizziamo le situazioni. Il senso di pienezza e il senso di felicità non sono cose pre-confezionate.