Ecco la seconda parte dell’intervista a Pierre Dukan, ideatore della dieta Dukan.
E quando la chiamano businessman cosa pensa?
Anche se non è vero, ne sono lusingato, semplicemente perché è un segno di modernità. Sono circondato da uomini d’affari che sfruttano tutto ciò che gravita attorno a me per ricavarne denaro ma non me ne lamento, perché questo mi permette di diffondere ancora di più il mio messaggio. Grazie a tutta questa imprenditorialità il mio metodo assume una dimensione internazionale e io ne sono davvero felice. Sono in grado di modificare certe sotterranee tendenze sociologiche. È vero, avrei potuto accontentarmi dei miei dieci o quindici pazienti al giorno, ma vedendo che la domanda cresceva mi sentivo frustrato di non potervi rispondere e quindi ho avuto il desiderio di scrivere La dieta Dukan, dopo aver messo a punto le mie quattro fasi. Sul campo avevo ottenuto buoni risultati e volevo che molte altre persone ne beneficiassero.
E come si comporta con tutte quelle persone, soprattutto giovani donne, che vogliono dimagrire a ogni costo, anche se magari sono già magrissime?
Dico che ho scritto un libro dedicato a loro: Les hommes préfèrent les rondes! In quest’opera tento di far loro capire perché devono avere qualche curva, dei seni, dei fianchi, delle cosce; insegno loro ad amarsi così come sono, cioè il complemento dell’uomo…
Il suo metodo non è quindi idoneo a chi deve perdere due o tre chili?
No, non lo consiglio. Penso che la soglia sia sette chili, non meno. I due o tre chili da perdere non sono una minaccia per la vita, bensì semplicemente una necessità di prestazioni migliori o di padronanza di sé, cose per cui non c’è bisogno di me.
Ritiene perfetto il suo metodo?
No, non lo è, cioè non completamente. È però oggigiorno l’unico che propone un piano d’azione in quattro fasi, delle quali una permette la stabilizzazione del peso ottenuto.
Quindi per lei non esiste nessuna ripercussione negativa derivante dalla sua dieta, a meno di non avere dei precedenti?
È quanto constato dopo innumerevoli controlli e visite. Quei pazienti che perdono i capelli, per esempio, hanno già vissuto in precedenza il problema.
So che molte volte si è espresso sul rapporto ANSES, ma dato che ho la fortuna di averla qui di fronte, me ne può parlare?
Non capisco come si possa svolgere uno studio sulle diete basandosi sui libri anziché provarle concretamente; non hanno mai interrogato una persona in carne e ossa! Inoltre, lo scopo dell’ente non era quello di esaminare i benefici, bensì i pericoli. Tutto ciò non è accettabile; forse ci parlano del rischio di precipitare ogni volta che saliamo su un aereo? Suvvia, questo modo di agire non è obiettivo!
Lei ha una risposta a tutto.
No, non sempre, ma metto entusiasmo in quello che faccio. Il mio metodo non è ancora perfetto ma ci sto lavorando. Sa, non sono un uomo di logica, sono in primo luogo un empatico.
Talmente empatico da provare il bisogno di far dimagrire il pianeta, cinesi inclusi! E io che credevo fosse un popolo magro!
A esserlo di natura sono i giapponesi, non i cinesi; tra questi ultimi esistono trecento milioni di grassi! Tre mesi dopo la Cina, andremo a diffondere il metodo in Russia e altri tre mesi dopo in Germania. Quest’anno o la va o la spacca!
Tutta questa immensa promozione non viene forse criticata dall’Ordine dei Medici?
Certo, mi hanno detto che facevo molto parlare di me, eppure mi permettono di esercitare la mia professione.
Tuttavia non è autorizzato a utilizzare il titolo di ‘medico’…
È vero, ma ho scritto all’Ordine spiegando i miei progetti in tutti questi paesi e dicendo che stavo dando il mio contributo. Mi è stato chiesto, quindi sono diventato coach di nutrizione. Ma come sa, sto per andare in pensione e da un anno non accetto più nuovi pazienti. Mi occupo soltanto di quelli vecchi. Non ho ricevuto nessuna nota di biasimo o di monito da parte dell’Ordine dei Medici, una chiara prova che non ho infranto la legge!
Per concludere, ho sentito parlare di un libro che un giorno le piacerebbe far pubblicare, un’opera filosofica se non sbaglio?
È così. A quarant’anni ho cominciato a scrivere un libro che ho intitolato ‘I dieci pilastri della felicità’. Dopo una lunga notte in bianco passata a riflettere, ho capito alcune cose fondamentali. Sono partito dal principio filosofico secondo il quale la vita è il motore ma il piacere è il timone, dopodiché ho scoperto dieci strade che portano a esso. Otto provengono dal regno animale; tra queste il cibo, la sessualità e la dominante sociale. Le altre due derivano dall’essere umano: il sacro e il bello. Non sono giunto alla fine di quest’opera, perché mia moglie stava per dare alla luce Sacha, il nostro primo figlio, e non c’era nulla che potesse coinvolgermi tanto quanto quel piccolo essere. Come diceva il musicista e poeta cubano Compay Segundo, ‘Per riuscire nella vita un uomo deve fare un figlio, scrivere un libro e piantare un albero’. Avevo messo da parte il mio libro dicendogli ‘a presto’, ma non immaginavo che sarei stato completamente assorbito dal problema della nutrizione e del sovrappeso. Avevo trovato la mia felicità in questa strada.