In ambito lavorativo, soprattutto quando si ha la responsabilità di dirigere un gruppo, le parole sono necessarie e indispensabili per comunicare, ma non sono sufficienti per costruire un rapporto duraturo. Al di là delle parole e dell’espressione verbale, si rivela essenziale una capacità di condividere. Bisogna saper essere, saper creare e sapersi trasformare per animare un gruppo e offrire a ciascuno dei suoi membri gli strumenti per realizzarsi al meglio delle sue risorse e dei suoi limiti. Del resto alcuni comportamenti verbali cui spesso si dà poco peso, se portati all’estremo rischiano di compromettere una comunicazione positiva e proficua. Vediamoli.
Qualche ostacolo alla comunicazione nel mondo del lavoro e le possibili conseguenze
1. Dirigere, comandare, imporre a suon di ordini (dire all’altro quello che deve fare, non fare, dire, non dire).
Conseguenze: trasforma un collaboratore in un esecutore, lo rende dipendente, suscita ambivalenza (una detonante miscela di sentimenti positivi e negativi).
2. Minacciare, formulare profezie, lanciare anatemi, fare la morale.
Conseguenze: pone l’interlocutore sulla difensiva, in disparte, ne alimenta l’immaginazione e rischia di risvegliare in lui un senso di persecuzione.
3. Drammatizzare, anticipare in maniera negativa le conseguenze di un’azione o di un comportamento.
Conseguenze: riduce le energie, genera perdita di fiducia in se stessi, rende fragili le risorse degli uni e degli altri.
4. Esortare, convincere (voler mettere in primo piano i propri desideri, predicare, fare la morale).
Conseguenze: aumenta le difese, rende rigide le posizioni, fa nascere un senso di colpa che finisce con il ritorcersi contro chi lo ha prodotto.
5. Rispondere troppo in fretta, fornire soluzioni, dare suggerimenti (sostituirsi all’altro; “se fossi al posto tuo, non lo accetterei”, “a mio parere, dovresti fare così”).
Conseguenze: infantilizza, alimenta la dipendenza.
6. Argomentare, discutere (richiamarsi al buon senso, alla logica, voler influenzare a ogni costo lo svolgimento dei fatti, imporre la propria opinione come se fosse la migliore).
Conseguenze: favorisce un doppio movimento, con accettazione in un primo momento ma dubbi e opposizione latente in un secondo.
7. Giudicare, criticare, biasimare (esprimere un giudizio negativo sulla persona, valutarla).
Conseguenze: perdita di fiducia; fa nascere inibizioni e tendenza a mettersi in disparte, riduce l’impegno.
8. Lodare in eccesso (valorizzare senza motivo).
Conseguenze: agire con l’unico scopo di ottenere approvazione, alimentare atteggiamenti basati sul tutto o niente (da un lato il bene, rivolto a chi valorizza, dall’altro il meno bene, rivolto agli altri!).
9. Dare soprannomi, prendere in giro, screditare, sminuire (una persona o un risultato).
Conseguenze: crea distanze, emargina, fa fuggire.
10. Interpretare, analizzare (collocare in una categoria, psicanalizzare a oltranza).
Conseguenze: perdersi in interpretazioni, non dare più fiducia all’intuito, allontanarsi dal vissuto.
11. Manipolare: voler far realizzare all’altro i nostri desideri lasciandogli nel contempo credere che siano i suoi; attribuirgli idee che non ha, fargli dire cose che non ha voglia di dire…
Conseguenze: suscita ambivalenza, alimenta risentimento, fa nascere aggressività diretta o indiretta.
12. Rassicurare, simpatizzare, consolare, salvare (maniera indiretta di negare ciò che l’altro prova o i suoi veri sentimenti).
Conseguenze: non permette all’altro di imparare a convivere con i suoi sentimenti, le sue emozioni, o di percepire ciò che avverte e ricollegarsi alla sua risonanza.
13. Fare domande, interrogare, intromettersi o irrompere nell’intimità altrui (non rispettare la giusta distanza relazionale).
Conseguenze: chiusura o eccesso; suscita risposte preconfezionate, non permette di formulare l’interrogativo che si cela dietro la domanda.
14. Scherzare, minimizzare, ironizzare (fare come se il problema non fosse importante).
Conseguenze: trasferisce il problema, distoglie la persona dalla sua preoccupazione, innesca meccanismi di evitamento.
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