La coscienza umana può esistere in assenza di un cervello vivente?
Riguardo a questa domanda esistono prove attendibili fornite da persone che hanno avuto esperienze coscienti mentre il loro cervello era clinicamente morto. Persone che sono arrivate sulla soglia della morte ma sono tornate indietro. La loro esperienza cosciente è conosciuta come NDE o esperienza di premorte. Le NDE ci dicono che un’esperienza cosciente è possibile anche quando il cervello è temporaneamente non funzionante.
La sua momentanea disfunzione può capitare in casi di malattie gravi o di danni cerebrali, dove i segnali dell’attività del cervello cessano ma successivamente riprendono. Se il tempo passato senza le normali funzioni cerebrali non eccede la soglia critica di qualche secondo, il cervello è in grado di recuperare il suo abituale funzionamento. Allora la coscienza che era precedentemente associata a quel cervello può riemergere.
L’esperienza cosciente nel lasso di tempo in cui il cervello è clinicamente morto è un’anomalia. Non è spiegata dall’attuale paradigma materialista della scienza, che considera l’esperienza cosciente come un prodotto delle funzioni cerebrali. Tale paradigma sostiene che quando quelle funzioni cessano, cessa anche la coscienza che esse hanno generato.
Tuttavia, le evidenze fornite dai casi documentati di NDE dimostrano che non sempre la coscienza cessa quando il cervello è clinicamente morto. Non sempre c’è il ricordo dell’esperienza cosciente durante questo periodo critico, ma è sufficientemente frequente da risultare significativo: in alcune ricerche riguarda il venticinque per cento dei casi documentati. Inoltre, il ricordo è spesso genuino: si riferisce a cose ed eventi che una persona con delle funzioni cerebrali normali avrebbe sperimentato in un tempo e in un luogo dato.

mareggiataIl caso di Will Murtha
Un caso di NDE relativamente recente riguarda un giovane chiamato Will Murtha. Nell’autunno del 1999 Will decise di fare un giro in bicicletta lungo la diga marittima vicino a casa, a Dawlish, sulla costa meridionale dell’Inghilterra. La marea era estremamente alta quella sera e c’era un temporale. Le onde si schiantavano sulla parete protettiva a intervalli regolari. All’improvviso arrivò una grande onda che lo fece cadere dalla bicicletta. Si rialzò da terra ma in quel momento una seconda onda lo raggiunse e lo scaraventò in mare.
Dopo qualche secondo Will riuscì a risalire in superficie. Era un nuotatore esperto e, essendo uno sportivo semiprofessionista, era anche in forma. Eppure, mentre guardava in alto verso la diga, sapeva che uscire dall’acqua non sarebbe stato facile. Poi comprese che la marea l’avrebbe portato al largo. Si sentì trascinare nelle acque più profonde all’altezza dell’estuario del fiume Exe.
La notte si stava avvicinando e non c’era nessuno in vista. Le luci di Dawlish lampeggiavano ma nessuno stava guardando in mare aperto. Will sapeva di trovarsi nei guai. Gridò in cerca di aiuto ma invano. Iniziò a sentire i morsi dell’acqua ghiacciata. Poteva cercare di stare a galla fino all’esaurirsi delle sue forze ma non poteva fermare l’ipotermia. Sentì il freddo intenso penetrare in lui. Comprese che il suo corpo si stava spegnendo. Stava morendo.
Poi si sentì prendere da una forte sensazione di pace. Guardò in alto, verso uno stormo di gabbiani che giravano sopra di lui. Capì di essere una parte di loro e loro una parte di lui. Allora guardò indietro verso la diga che continuava ad allontanarsi e comprese che anche quella era una parte di lui. Realizzò che tutto era connesso come un’unica singola coscienza. Ci fu un bagliore di luce e il mare e il freddo scomparvero.
Si ritrovò a correre su una strada a East London. Era un caldo giorno d’estate e non stava prestando attenzione a nulla e a nessuno. Era tornato bambino. Per un secondo si sentì confuso, poi udì lo stridio dei freni. Alzò lo sguardo e vide la parte anteriore di un’automobile che si dirigeva verso di lui ad alta velocità. Non fece in tempo a spostarsi. Guardò oltre il cofano e vide il volto di una giovane donna che lo osservava sgomenta. Sentì un terribile tonfo e tutto diventò nero.
Poi si ritrovò nel corridoio della sua casa a Dawlish. Gli ci volle un attimo per capire che stava volteggiando vicino al soffitto. Bussarono alla porta. Vide sua moglie e le figlie percorrere il corridoio e aprire la porta d’ingresso. C’era un ufficiale di polizia. Lo ascoltò attentamente mentre spiegava che sulla spiaggia di Dawlish era stato ritrovato un corpo e che c’erano ragioni per credere che quel cadavere fosse del signor William Murtha.
La scena svanì e si ritrovò in acqua, in attesa di morire. Aveva sperimentato un flashback della sua infanzia, quando era stato travolto da un’automobile. Aveva dimenticato i dettagli ma aveva rivissuto quell’evento nei minimi particolari. Aveva anche condiviso la paura e il senso di colpa della donna che lo aveva investito. Sapeva perché non era riuscita a fermarsi in tempo: aveva notato una smagliatura nelle calze e si era distratta. Comprese di avere visto il futuro, o un futuro possibile se non fosse riuscito ad andare presto fuori dall’acqua. Fortunatamente, Will Murtha fu avvistato quella sera da qualcuno che stava guardando attraverso un telescopio. Venne estratto dall’acqua con le costole rotte e una grave ipotermia. Ma sopravvisse. I poliziotti non bussarono alla porta della sua casa per dare la notizia del decesso.

 

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