Spesso gran parte del nostro percorso di crescita si concentra sull’affrancamento dai condizionamenti e dai limiti che ci sono arrivati dalla nostra famiglia, dalla nostra storia, dalla nostra educazione. Nello sviluppo di un essere umano, tuttavia, vi sono anche ingiunzioni che l’individuo pone a se stesso, divieti, censure o persino sfide che ci imponiamo da soli. In genere si tratta di mezzi di difesa per affrontare una situazione di crisi o di stress oppure un evento traumatico, al quale alcuni rispondono attraverso l’equivalente del fare terra bruciata per evitare di soccombere o di cadere più in basso.
Queste censure, questi divieti trasformati in sistemi di difesa sono forse necessari al momento in cui ce li imponiamo, perché ci proteggono e ci consolano, ma in seguito si rivelano delle vere e proprie catene, insopportabili prigioni che rinchiudono e inibiscono le potenzialità reali. Se possiamo restituire le ingiunzioni che abbiamo ricevuto a chi ce le ha trasmesse e in questo modo liberarcene prendendo una diversa posizione nei loro confronti, è tuttavia più difficile scoprire e superare le ingiunzioni che imponiamo a noi stessi.
La gamma delle ingiunzioni che ci spingono a fare quello che non vogliamo è assai varia e persuasiva: giocano principalmente con i dubbi, le paure e il senso di colpa, ma anche con l’immagine di sé, del buon padre, della buona madre, del buon impiegato, del buon figlio o della figlia perfetta che abbiamo interiorizzato e che per anni continuiamo a nutrire e a coltivare.
Si tratta di immagini in genere alimentate da paure immaginarie, poco reali così come lo è la maggior parte delle paure. Paura di dire, di non dire, di fare, di non fare e soprattutto di essere visti “come non vorremmo” o etichettati in maniera peggiorativa; paura di non essere più amati, di essere rifiutati, negati e molto altro ancora.
Impartendoci ordini o prefiggendoci missioni, scegliendo di ottemperare a certi obblighi e imponendoci divieti, ci priviamo di numerose risorse e ci infliggiamo forti frustrazioni che ci spingono ad agire e a vivere assai al di sotto delle nostre possibilità. Rimanere aggrappati a una situazione di mancanza e farne una fissazione suscita in genere frustrazioni e angoscia, rivendicazioni e collera. In particolare, dirigere la violenza e la rabbia contro di sé altera non solo il nostro rapporto con gli altri, ma anche quello con noi stessi.
Ogniqualvolta riusciamo a riconoscere il bisogno che si cela dietro la mancanza, gli autosabotatori diminuiscono e spariscono dalla nostra vita. Quello che pertanto dobbiamo effettuare è un lavoro di reinquadramento, di risistemazione degli eventi che hanno strutturato la nostra vita, un lavoro che ci permetterà di capire meglio tutto ciò che abbiamo alimentato in noi di negativo e, nel contempo, di rinunciarvi. Per usare le parole di don Miguel Ruiz, “Le tue opinioni e i tuoi punti di vista riflettono gli accordi che hai preso con te stesso. Sono solo la tua verità, e di nessun altro… è necessario sostituire ogni accordo rotto con uno nuovo che ti renda felice. Se occupi lo spazio mentale di un vecchio accordo con uno nuovo, il vecchio non potrà più tornare”.