Nel mondo in cui viviamo, il ritorno a stili di vita più semplici e naturali, unitamente a forme di autosufficienza e condivisione, sono la prima forma di difesa dalla realtà irreale che viviamo quotidianamente; una irrealtà che uccide e ci uccide senza che ce ne accorgiamo neppure. Ma sempre più persone lo stanno capendo e in silenzio, senza grancasse, fanfare e clamori, stanno intraprendendo questo cammino.
Se noi riflettessimo sul funzionamento della Vita sul pianeta senza artifici e sovrastrutture, semplicemente per quello che è, ci accorgeremmo che il vivere, nella sua straordinaria varietà e complessità, è qualcosa di estremamente semplice. Ciò che vale per la Vita vale ovviamente anche per la vita umana: l’aria c’è, l’acqua anche, il cibo ancor di più (se ne butta via, per puro spreco o per ragioni di mercato, oltre il 40% della produzione mondiale), e soprattutto avremmo tutto per soddisfare le nostre necessità relazionali, di socializzazione, di svago, senza bisogno di pagare alcunché; il mondo, al di fuori delle mercificazioni di tutto e tutti, rimane qualcosa di unico, un grande parco giochi dove vivere la Vita come una meravigliosa avventura (ma questo lo si capisce solo quando dalle mercificazioni ci si toglie almeno un po’. Finché si rimane dentro, no). Se è vero che per vivere bene avremmo bisogno di poco, è purtroppo una triste realtà che quel poco ci manca sempre più e che dunque vivere bene è sempre più difficile. Questa cosa accade un po’ ovunque nel pur vasto mondo, a parte in quei pochissimi luoghi dove lo sviluppo, il mercato e i loro tanti sinonimi, non sono ancora arrivati a sfruttare e distruggere tutto. Se pensiamo che nell’immaginario comune lo sviluppo e l’economia dovrebbero essere lì per farci vivere meglio, la cosa appare del tutto paradossale. Ma non lo è. In realtà ciò che sta accadendo è perfettamente in linea con il significato più autentico di quello che chiamiamo sviluppo e di quella che chiamiamo economia. Da che sono venute alla ribalta lo sviluppo e l’economia, infatti, non fanno altro che promettere senza mantenere. Ci chiedono di fare qualche sacrificio in più, di tirare la cinghia ancora un po’, di lavorare un po’ di più, di correre di più che le cose torneranno presto a posto e il sole a splendere come da proclama istituzionale. Ma le cose a posto non vanno mai e ormai sono in molti ad averlo capito.
Nel reale della nostra Vita quotidiana, infatti, lo sviluppo e l’economia si manifestano per ciò che sono effettivamente, e cioè una forma di dominio, di controllo, di mercificazione di tutto e tutti, uno strumento di coloro che stanno in alto per dominare, controllare, mercificare, coloro che stanno in basso (e con loro il pianeta).
Tale mercificazione, lo avrete notato, si manifesta in una incessante, delirante, paranoica, trasformazione di ciò che è vivo in qualcosa di morto. Questo è ciò che fanno, inevitabilmente, lo sviluppo e l’economia: trasformano ciò che è vivo in qualcosa di tossico, contaminato, morto.
Lo sviluppo e l’economia, per prosperare (loro prosperano ma per tutto il resto è il contrario) si basano su una ovvia necessità di risorse. Ma, ancorché noi si faccia fatica a capirlo per una questione di schemi mentali e di condizionamenti che abbiamo subito sin dalla nascita per ventiquattro ore al giorno, c’è un problema di fondo, e cioè che l’essere umano non è una risorsa (tantomeno economica) ma semplicemente un essere umano. Allo stesso modo non sono una risorsa (tantomeno economica) una mucca, un albero, le acque di un fiume che vengono deviate per generare energia o qualunque altra cosa. Se si accetta infatti l’idea che si può mercificare anche solo qualcosa si finisce inevitabilmente con il mercificare tutto. Questo per dire che a monte di dove siamo oggi c’è anzitutto una forma mentis, una visione, un modo di intendere la Vita che ce la fa vedere così piuttosto che cosà. Nello spazio tra quel così e quel cosà ci sono tutti i drammi che noi, e il pianeta con noi, stiamo vivendo oggi. Il problema non è quindi lo stato attuale in cui ci troviamo, ma il perché e il percome ci siamo arrivati. Insomma, se non cambiamo le premesse, cioè il nostro modo di pensare e di vedere la Vita, se non de-sviluppiamo e de-mercifichiamo anzitutto il nostro modo di pensare, non risolveremo mai nulla e la situazione non potrà che peggiorare. Ricorrere ad ancora più sviluppo, ancora più economia e ancora più ai loro tanti servitori (tecnologia, Stato, scienza, medicina, ecc.) non farà altro che accelerare il corto circuito fatale, la formidabile esplosione che ci attende alla fine della strada dello sviluppo, dell’economia, delle mercificazioni di tutto e tutti. Non dovremmo essere troppo lontani.
Dicevamo all’inizio che la Vita si fonda su regole basilari piuttosto semplici e se ci si allontana dalla Vita (e dunque dalla natura con i suoi ritmi, modi, tempi, ecc.) si fanno dei danni e neppure di poco conto. Tanto per fare un esempio che pare banale, ma invece non lo è affatto, allontanandoci dalla natura noi, progressivamente, ci allontaniamo anche dalla realtà. L’allontanamento progressivo da una Vita in cui l’ordine naturale era l’ovvia normalità (era, cioè, la Vita) ha fatto sì che si sia arrivati ai livelli attuali di astrazione assoluta dalla Vita. Questo a meno che non si voglia sostenere che vite immerse nelle realtà di oggi, cioè vite immerse nelle “Isole dei famosi”, in qualche delitto efferato e nel gossip, nei social network, nei desideri compulsivi e irrefrenabili di acquisto (nonostante la “crisi” io continuo a vedere tutt’attorno sprechi incredibili) e chi più ne ha più ne metta, siano vite. Perché non lo sono.
Ma se nonostante le “Isole”, qualche delitto efferato e un po’ di gossip, i social network, il consumismo più becero e sfrenato, noi stessimo bene, io non avrei da batter becco. Ma il fatto è che invece nessuno sta più bene. Non so se ce ne rendiamo conto ma nessuno (o comunque la maggior parte, una “maggior parte” in costante crescita) riesce più ad attendere alle più normali funzioni biologiche: abbiamo problemi con il mangiare, con il dormire, con l’andare di corpo, addirittura con il respirare (determinate da stati ansiogeni, forme varie di stress acuto, ecc.), abbiamo fobie di tutto (in particolare di tutto ciò che è naturale) e le malattie nervose dilagano. Non so per voi, ma per me tutto questo è altamente irreale. Ma il dramma non è neppure questo. Il dramma è che abbiamo accettato questa situazione come normale. Non ci facciamo neppure più caso. Questo è infatti esattamente ciò che facciamo quando prendiamo la pillolina perché siamo depressi o per andare di corpo. Ci preoccupiamo di cancellare il sintomo e non di indagarne le radici per eliminarlo. Sia chiaro, qui nessuno accusa nessuno di niente, anche perché tutti siamo presi da questo sistema che ci stritola come un coniglio tra le spire del serpente. Ma il dire le cose come stanno, e dunque prendere intima coscienza della situazione, è il primo passo se vogliamo cambiare direzione.
Non so se ve ne rendete conto, ma noi non viviamo più. Letteralmente non viviamo più, bensì passiamo l’esistenza disperdendo le nostre energie (cioè la nostra Vita) in una infinità di pseudo-bisogni, pseudo-interessi, pseudo-conoscenze, pseudo-divertimenti, pseudo-miglioramenti, pseudo-ricerche-della-felicità, pseudo-tutto, insomma una pseudo-vita che in quanto tale è irreale e che per questo ci svuota, ci esaurisce, ci svaluta intimamente, in una parola ci fa vivere male. La vita, che ci piaccia o meno, è solo quando è reale, e quel mondo artificiale (e tossico) che viviamo e che abbiamo sostituito al mondo reale, essendo artificiale non è reale. Punto e a capo.
Noi invece abbiamo bisogno di realtà, che possono essere a volte dure (perché la vita non è una camminata su un prato fiorito), ma comunque reali (e comunque alcune durezze della vita sono pedagogiche). Quindi, tanto per dirne una, quando la gente parla di “crisi” e si auspica “la ripresa” (più sviluppo, più economia, in generale più idiozie) dimostra che non vuole capire che le nostre vite sono insostenibili già da ora e aggiungere altra carne al fuoco non farebbe che peggiorare la situazione. Da tutti i punti di vista.
Chi ne ha la forza e il coraggio provi a chiudere gli occhi e ad ascoltare in silenzio le grida di dolore che promanano da questo mondo: farlo è qualcosa di semplicemente disperante. E la realtà, purtroppo, è questa e non quella dei programmi televisivi in cui tutti sorridono e sgambettano felici (per copione), non quella degli acquisti che ci fanno stare male anziché bene, non quella di gente che sbandiera e strombazza per le strade perché la nazionale di calcio ha vinto la coppa. Le felicità televisive, quelle degli acquisti e quelle della squadra del cuore, servono solo a chiudere occhi e orecchie per allontanarsi dalla realtà. La realtà non è quella ma, purtroppo, quella delle grida di dolore che promanano dal mondo che viviamo. E il motivo è molto semplice: questo sistema è anti-Vita e, nella realtà, questo sistema irreale non lo regge più nessuno. Bisogna che si faccia chiaramente questa distinzione tra realtà e irrealtà per fare in modo che l’irrealtà che ci viene continuamente sbattuta in faccia diventi la realtà. Proprio per questo rimango convinto che sia necessario affrontare queste grida di dolore facendosene carico e prendendocene la responsabilità in prima persona. Dobbiamo farlo noi, perché nessuno lo farà per noi. Queste vite irreali che stiamo vivendo e che ci fanno soffrire sono un’irrealtà all’interno di una grande Matrix ma quando la realtà colpirà (perché presto colpirà) la coglieremo pagando a quel punto un prezzo altissimo. Si salverà solo chi vi si sarà preparato, concretamente ma anche psicologicamente.
Che la gente (a parte i lobomotizzati irreversibili per i quali, in quanto tali, non vi sono speranze) sia terrorizzata dalla situazione attuale è perfettamente comprensibile. Per questo vuole, si augura, spera, che tutto riparta come prima, manco fosse una specie di araba fenice che rinasce dalle proprie ceneri. Ma non sarà così e del resto se tutto ripartisse come prima la situazione non farebbe che peggiorare lo stato ambientale, quello sociale, e tutti gli altri stati. Chi da questo meccanismo si è tirato o sta cercando di tirarsi fuori, queste cose le capisce molto meglio di chi vi è dentro fino al collo. Non dico abbia risolto tutti i suoi problemi ma perlomeno ha idea in quale direzione andare. In ogni caso sta abbandonando l’irrealtà per tornare alla realtà.
Bisogna tornare indietro, gradatamente e per quello che ci riesce, ma la direzione può essere solo quella. Tornare indietro non verso un non meglio precisato e meraviglioso passato privo di problemi che non è mai esistito, ma verso vite che siano in qualche modo (in tanti modi) più autentiche, sensate, reali, partendo, ad esempio, dal tentativo di ridurre le nostre dipendenze dal sistema, il tutto da fare come scelta volontaria e non come imposizione. C’è una grande differenza tra le due. È la differenza tra chi si mette volontariamente a dieta per perdere peso e stare meglio e chi non mangia perché non ha da mangiare.
Il crollo delle società complesse (Impero Romano, Maya, Azteco, Han, Maurya, Gupta, quelli mesopotamici… tutti) è del resto un fatto storico ricorrente nella storia; nessuna società complessa è mai sopravvissuta a se stessa. Che il crollo di questa società ipercomplessa sia oramai imminente (gli scricchiolii sono ovunque per chi li vuole sentire) e farà ripartire tutto come una tabula rasa o quasi, è fuori di ogni ragionevole dubbio. Mi pare dunque che contestualmente sia arrivata l’ora di dedicare tempo ed energie al ritorno alla realtà, in primis ad una qualche forma di autosufficienza, alla ricostruzione di rapporti umani non mediati da tecnologie varie (che sempre dalla realtà allontanano anziché avvicinare), alla ricostruzione di comunità locali che abbiano alla base principi di condivisione e fiducia. La buona notizia è che sempre più gente sta andando in questa direzione. Non solo per ripararci dal futuro ma anche e soprattutto per cominciare a vivere bene da adesso.
Io vedo questi tempi a venire come duri ma anche liberatori e soprattutto reali. Per andare nella direzione della realtà ci vogliono consapevolezza, determinazione e buona costanza. Le soluzioni in fondo ci sono a tutto. Bisogna cercarle però, anche perché altrimenti la realtà ci riporterà alla… realtà.
Andrea Bizzocchi
www.andreabizzocchi.it
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