La nostra salute dipende in massima parte da una buona alimentazione, il cui livello qualitativo non può più essere misurato solo in base alla conta delle calorie, dei grassi, dei carboidrati e delle proteine.
Metalli pesanti, OGM, pesticidi e antibiotici sono solo alcune delle sostanze dannose che ingeriamo abitualmente attraverso il cibo, l’alto tasso d’inquinamento ambientale e l’introduzione di leggi sempre più permissive in tema di stravolgimento dell’integrità biologica degli alimenti, insieme all’uso massiccio di sostanze chimiche tossiche, hanno causato l’aumento esponenziale dell’incidenza e del numero delle patologie umane.
La buona notizia, però, è che possiamo scegliere attivamente per migliorare la nostra alimentazione, aiutare l’ambiente e mantenerci in salute! Ecco come…
FRUTTA, VERDURA E PESTICIDI: CHE FARE?
I pesticidi non comportano solo danni irreversibili all’ambiente e alla biodiversità, ma possono provocare anche gravi problemi alla salute. È quindi molto importante sapere cosa è meglio escludere dalla nostra tavola per essere meno esposti ai rischi. I bambini, ad esempio, sono più sensibili rispetto alle dosi definite
accettabili per gli adulti, e si tiene inoltre poco conto dell’azione combinata tra diversi tipi di veleni (i cui effetti sinergici non sono mai stati adeguatamente studiati).149
La situazione diventa invece molto più preoccupante nei prodotti d’importazione (extra UE), dove i limiti massimi residui per ciascun singolo pesticida superano mediamente di cinque volte quelli riscontrati nei prodotti locali. I paesi stranieri che utilizzano pesticidi vietati in Italia, inoltre, sono moltissimi e non comprendono solo stati africani o asiatici. Conoscere l’esatta provenienza degli alimenti è quindi un’informazione di fondamentale importanza per valutarne meglio l’acquisto!
Esistono inoltre buoni motivi per preferire la frutta e la verdura di stagione. La prima, infatti, viene coltivata all’aria aperta e riceve la luce diretta del sole, arricchendosi maggiormente di vitamine e antiossidanti. La seconda, invece, viene coltivata in serra e per crescere ha bisogno di una maggiore quantità
di pesticidi. Le piante costrette a crescere al di fuori dei loro cicli biologici naturali sono più deboli. Spesso vengono utilizzati anche degli ormoni della crescita, che aumentano il rischio per i consumatori di ammalarsi di tumore.
La scelta di frutta e verdura a “km 0” (o a meno chilometri possibile) è senz’altro la migliore, poiché i prodotti che devono affrontare lunghi viaggi devono essere imbottiti di conservanti o sottoposti a trattamenti come l’irradiazione, che ne aumentano gli effetti nocivi sulla salute e ne riducono le proprietà nutrizionali.
I PRODOTTI INDUSTRIALI: GLI INGREDIENTI PERICOLOSI
Già più di trent’anni fa venne ipotizzato che l’iperattività correlata ai disturbi dell’apprendimento potesse essere attribuita in gran parte ai coloranti alimentari artificiali. Nel dubbio, però, molti paesi hanno deciso comunque di vietarli, applicando il principio di precauzione o confermandone la pericolosità per i consumatori. I coloranti, purtroppo, sono tra gli additivi più utilizzati proprio nei prodotti dolciari destinati ai bambini (gelati, caramelle, torte, creme, merendine ecc.), quindi i genitori dovrebbero prestare la massima attenzione alle etichette.
L’olio di palma contiene dal 45 al 55% di grassi saturi a catena lunga (come l’acido palmitico) e nei consumatori abituali provoca l’aumento dei livelli dei grassi nel sangue, dal colesterolo “cattivo” (LDL) ai trigliceridi. Altri effetti collaterali associati al suo consumo riguardano l’incremento delle sostanze infiammatorie circolanti nel sangue, che favoriscono lo sviluppo di varie patologie cardiovascolari, l’aterosclerosi, il diabete e persino i tumori.
Il consumo eccessivo di zucchero da tavola (saccarosio) ha conseguenze nocive per l’organismo umano (obesità e diabete sono le patologie più frequenti) e di conseguenza è meglio limitare il consumo di cibi e bevande che ne contengono in abbondanza. Attenzione però anche agli edulcoranti artificiali: la letteratura medico-scientifica mondiale ha documentato l’esistenza di diverse patologie gravi (tra cui il cancro) direttamente associate al loro consumo. Contrariamente a quanto comunemente creduto, l’uso abituale e prolungato di dolcificanti artificiali raddoppia il rischio d’incidenza di sovrappeso e obesità: i dolcificanti artificiali innescano dei processi metabolici che aumentano la fame.
La farina raffinata (di tipo 0 e 00), usata come ingrediente principale di pane, pasta e dolci in tutto il mondo industrializzato, è uno degli alimenti responsabili delle cosiddette “malattie del benessere”.
Si tratta infatti di una farina molto povera dal punto di vista nutrizionale, ma che nello stesso tempo è ricca di energia in termini di calorie. Il processo di macinazione e di raffinazione la priva completamente del germe e della crusca, ovvero di tutti i suoi principali nutrienti originari (aminoacidi, acidi grassi, sali minerali, vitamine del gruppo B e vitamina E, fibre ecc.), lasciando solo un finissimo concentrato di zuccheri (i cosiddetti “carboidrati vuoti”). Per questo motivo, tutti i prodotti ricavati dalla farina bianca,
composta prevalentemente da amidi (molecole di glucosio), vengono digeriti molto rapidamente dal nostro organismo, provocando dei picchi di glicemia (livello degli zuccheri nel sangue) e il conseguente
incremento dell’insulina, con una reazione a catena che nel tempo porta a un aumento dell’accumulo dei grassi depositati e un maggior rischio di cancro e diabete
PER CONCLUDERE: LA DIFFERENZA LA FA ANCHE IL MIO CARRELLO DELLA SPESA
Elencare tutti i pericoli e gli ingredienti nocivi presenti nei prodotti alimentari industriali è di scarso valore pratico per il consumatore medio. Viceversa, l’indicazione dei principali rischi da evitare è sicuramente molto utile a tutti per iniziare a cambiare abitudini alimentari e costringere l’industria a produrre dei cibi più sani. Nella stragrande maggioranza dei casi le alternative ai trattamenti e agli additivi più tossici già esistono e la strada più semplice per imporre questo tipo di cambiamento al settore alimentare non passa per le denunce delle ricerche indipendenti, ma per la scelta negli acquisti dei consumatori consapevoli. La “regola aurea” per potersi orientare tra le mille insidie delle etichette alimentari è quella di scegliere i prodotti meno trattati a livello industriale e con il più basso contenuto possibile di additivi.
La parte più numerosa della popolazione pensa erroneamente di non poter far nulla per impedire il nostro avvelenamento collettivo quotidiano, la distruzione dell’ambiente e la perpetuazione dei lager animali. Per alcuni non si tratta di una vera convinzione, ma di un semplice alibi per non fare niente, mentre per altri l’inerzia fa parte integrante di una cultura della rassegnazione che non consente loro altro che “remare contro” qualsiasi cambiamento. La minoranza più attiva e informata delle persone, invece, ha già capito che
cambiando i propri consumi e le proprie abitudini alimentari può costringere anche l’industria a cambiare sistema di produzione. L’attuale contesto di maggiore consapevolezza dei consumatori consente di pensare al prodotto biologico come al punto di partenza per una vera e propria rivoluzione culturale dell’intero comparto agroalimentare, dove ancora dettano legge le grandi multinazionali.
Il cambio di alimentazione è solo il primo passo verso una società sostenibile, che potrà essere realizzata solo con la messa al bando di tutte le sostanze inquinanti presenti in ogni genere di prodotto industriale (dai detersivi ai cosmetici).
Il cibo biologico rappresenta anche una grande occasione per i piccoli e i medi imprenditori del settore agricolo, che adesso hanno finalmente l’opportunità di battere il cibo-spazzatura delle multinazionali investendo sulla qualità e sulla diversificazione dei prodotti da offrire sul mercato. Il segreto del successo contro i giganti dell’industria è nella filiera corta (dal produttore al consumatore), a “chilometro zero” (ove possibile), specializzata nel proporre esclusivamente prodotti biologici e ortofrutta locale di stagione. I coltivatori diretti, infatti, possono permettersi di vendere al dettaglio merce di altissima qualità allo stesso prezzo (se non addirittura inferiore) dell’ortofrutta annacquata, “avvelenata” e di scarso valore nutrizionale delle coltivazioni intensive che passano invece per la grande distribuzione. I coltivatori diretti sono in grado di garantire un ottimo rapporto tra qualità e prezzo grazie all’eliminazione dei numerosi intermediari tra produttore e consumatore che caratterizzano la grande distribuzione e che hanno un ricarico medio del
200% sul costo finale dei prodotti.
Chi fa la spesa può facilmente imparare a distinguere l’ortofrutta biologica anche a colpo d’occhio, poiché in genere è esteticamente molto meno attraente per quanto riguarda forma, dimensioni e condizioni (la “buona frutta” presenta spesso delle “cicatrici” dovute agli attacchi di uccelli e insetti). Il vero marchio di fabbrica del cibo biologico resta tuttavia il sapore, che è direttamente proporzionale alla effettiva qualità del prodotto (anche le coltivazioni “bio” si distinguono per tecniche e procedimenti applicati alle colture).
Il cambiamento sui consumi è già in atto nelle grandi metropoli e per rendersene conto basta farsi un giro per i supermercati, dove stanno comparendo come funghi i nuovi reparti interamente dedicati al cibo biologico, integrale o privo di additivi chimici. La gamma dei prodotti offerti aumenta di mese in mese e negli ultimi tre anni le vendite degli alimenti bio sono cresciute del 59%.
Ogni volta che entriamo in un supermercato possiamo fare la nostra parte smettendo di finanziare il business del cibo spazzatura e scegliendo alimenti sani. Magari saremo costretti a comprare solo quattro mele anziché otto, ma in cambio mangeremo qualcosa che ci fa veramente bene senza fornire denaro alla macchina infernale dell’industria agroalimentare. Così facendo, prima o poi saremo noi consumatori a obbligare la grande lobby del cibo a cambiare completamente sistema di produzione, anche in totale assenza di aiuto dalle istituzioni.
La modernità ha fallito. Bisogna costruire un nuovo umanesimo, altrimenti il pianeta non si salva.
Albert Einstein
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