La finanza e l’economia reale sono due mondi a parte, lontanissimi tra loro anche se vengono fatti passare per attigui, quasi complementari, addirittura indispensabili l’uno all’altro. La finanza, di riffa o di raffa, non è altro che speculazione, mentre l’economia reale, almeno nella sua accezione più pura e idealistica, può fornire alcuni benefici agli esseri umani (in realtà non è così, ma userò questa linea di pensiero per portare avanti il discorso). Come chiunque in questi ultimi anni ha potuto osservare, l’una, cioè l’economia reale, paga per gli “errori” dell’altra, cioè la speculazione finanziaria. Cioè chi ha subito il danno deve provvedere a pagare per chi il danno lo ha causato, così che chi lo ha causato può continuare indisturbato a causarne altri.
Si pone però una domanda da un milione di dollari. Fatto 1 il valore dell’economia quello della finanza è pari circa a 20. Come può dunque l’economia reale (la gente) a pagare per gli “errori” della finanza? Non può. Questo “pagamento” è matematicamente impossibile visto che 1 non può pagare 20. “1” può rifinanziarsi attraverso gli interessi e così il debito globale (il debito di Stati, aziende, popolazioni) cresce. In qualche modo però l’economia reale (sempre la gente) “paga”. Paga infatti attraverso l’aumento di tasse, imposte, privatizzazioni, tagli sociali e via dicendo, cioè l’economia reale (sempre la stessa gente di cui sopra) si impoverisce progressivamente sempre più cedendo beni e risorse alla finanza. Nei fatti la finanza domina dunque l’economia reale sovrapponendoglisi, condizionandola, dirigendola. Per farla breve, se andiamo alla radice della questione senza perderci in discorsi demagogici e alla fin fine fuorvianti, la finanza non è altro che uno strumento (tra i tanti) che le oligarchie finanziarie utilizzano per controllare risorse e popolazioni. La finanza, quando si arriva alla resa dei conti, non può che avvantaggiare pochi (pochi che sono sempre meno ma si arricchiscono sempre più) e svantaggiare molti (che proporzionalmente si impoveriscono sempre più).
Forse la gente comune non lo sa ma la finanza specula su tutto: sul grano, sull’acqua, sulle aziende sull’euro, sull’Italia, sulla Grecia, sui terremoti, sugli uragani e via dicendo. Più o meno funziona così. Dei commercianti che vendono il grano capiscono che i downsides della vendita al dettaglio (la merce va lavorata, trasportata, può andare a male, bisogna pagare i dipendenti, i margini sono ridotti ecc.) sono molti e per contro gli upsides molto pochi. Decidono dunque di non vendere più il grano ma di speculare sul grano. Prendono a vendere e a scambiarsi “foglietti” (vedi il libro “La favola della crisi”, autori Hernán Casciari e il sottoscritto, Ed. Enea, 2013) grazie ai quali vendono il grano sempre più velocemente, sempre più freneticamente, ma solo tra di loro. Il grano non viene venduto davvero, rimane stivato in un qualche magazzino o in una qualche nave cisterna al largo di una qualche costa in attesa di un qualche ok per scaricarlo e portarlo ai supermercati, ok che però non arriva mai o quasi. La Fiat ad esempio, per chi non lo avesse ancora capito, non produce più automobili come fonte di guadagno diretto, bensì come mezzo per poi speculare sui prodotti finanziari grazie (si fa per dire) ai quali la gente compra l’auto a rate. Torniamo al grano.